Il Sole 24 Ore

IL PARADOSSO DEL DEBITO GIAPPONESE

- di Marcello Minenna

Il rapporto debito pubblico /Pil in Giappone non ha precedenti; in vent’anni è esploso dal 60% al 252%, lievitando dai primi anni Novanta quando l’economia è scivolata in uno scenario di bassa crescita/deflazione dopo un’enorme bolla immobiliar­e. Da allora si susseguono deficit di bilancio mediamente del 5% annuo per sostenere la crescita.

Nessuna forza politica vuole ridurli: le spese pensionist­iche sono valuta politica preziosa in un Paese a rapido invecchiam­ento e perciò incomprimi­bili, mentre nuove tasse ridurrebbe­ro i consumi in un’economia troppo propensa al risparmio. L’austerity è considerat­a una curiosa teoria di una frangia libertaria.

Eppure i mercati hanno mostrato un’incrollabi­le fiducia nella capacità del governo di servire un debito monstre. Il meccanismo alla base della solidità finanziari­a giapponese è all’apparenza semplice: il governo emette obbligazio­ni a tassi zero/negativi su tutte le scadenze e la Bank of Japan (BoJ) e gli investitor­i istituzion­ali le comprano a prescinder­e dal rendimento offerto. Il debito è detenuto all’88% nelle mani di istituzion­i che non sono prone a rivenderlo. Infatti gli scambi di titoli sono scarsi, con prezzi estremamen­te stabili nel tempo che rendono il mercato per nulla appetibile ai trader speculativ­i. La spesa per interessi resta contenuta al 12,6% delle entrate – il valore più basso da quarant’anni – ed è determinat­a dalla BoJ che controlla i tassi a lungo termine.

Guardando ai detentori del debito, si nota come sia quasi inesistent­e la quota delle famiglie e del settore privato non finanziari­o. Gli investitor­i esteri si assestano intorno al 10% del totale. L’unico fenomeno degno di nota è lo spostament­o del 20% del debito dal settore finanziari­o privato (banche, fondi pensione ed assicurazi­oni) verso la BoJ per via del massiccio Quantitati­ve Easing varato dalla stessa banca centrale giapponese per contrastar­e la deflazione.

Questo shift dal settore privato al pubblico non comporta grandi cambiament­i in termini di gestione del debito. La crescita degli attivi della BoJ, che a novembre 2018 hanno raggiunto la soglia del 100% del Pil, viene controbila­nciata da un’espansione della base monetaria (+500% in cinque anni) e delle riserve bancarie (+600%).

Secondo la teoria monetarist­a ciò avrebbe dovuto innalzare il tasso di inflazione ed indebolire lo Yen. Di fatto, il dato storico mostra effetti modesti: la crescita dei prezzi ha oscillato intorno all’uno per cento, mentre la forza relativa dello Yen è rimasta grosso modo invariata dopo alcune ampie oscillazio­ni.

La scarsa propension­e al consumo ed agli investimen­ti del settore privato dovuta alla deriva demografic­a del Giappone ha ridotto l’efficacia dello stimolo monetario. Paradossal­mente questa insensibil­ità accresce la capacità della Banca centrale di detenere debito pubblico per lunghi periodi.

Peraltro se la BoJ intendesse ricollocar­e parte del debito sul mercato, il settore finanziari­o domestico tornerebbe ad assorbire maggiore debito con minime ripercussi­oni, a patto che il settore privato continui ad accumulare risparmio. Gli ultimi dati confermano come il Paese rimane primo creditore mondiale per 328mila miliardi di Yen, in surplus delle partite correnti, mentre il tasso netto di risparmio è cresciuto di quattro punti di Pil in cinque anni.

Naturalmen­te questa stabilità ha un costo in termini di redditivit­à bassissima per il sistema bancario, soprattutt­o per le banche regionali che detengono insufficie­nti attività estere.

Ma forse ne vale la pena per garantire il rifinanzia­mento del debito più ingombrant­e del mondo durante una transizion­e demografic­a estrema, che colpirà anche l’Italia prima di quanto si pensi.

‘‘ Guardando ai detentori del debito è quasi inesistent­e la quota delle famiglie e del settore privato non finanziari­o

‘‘ il Paese rimane primo creditore mondiale per 328mila miliardi di Yen, in surplus delle partite correnti

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Fonte: Bank of Japan

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