Saldi incerti, nuovo esame Ue
Effetto espansivo affidato solo alla spesa corrente. L’Upb: «Rischi al ribasso»
Già dal primo esame di gennaio il confronto europeo sui conti italiani non si annuncia facile. È vero che la travagliata riscrittura della manovra è servita a spuntare il via libera «condizionato» della commissione Ue. Ma la ricerca dell’equilibrio impossibile fra le richieste di Bruxelles e le spinte della maggioranza a difesa di reddito di cittadinanza e quota 100 è sfociato in un risultato con aspetti paradossali, a partire dal taglio agli investimenti pubblici (1,1 miliardi in meno a carico del bilancio dello Stato nel 2019 rispetto alla situazione pre-manovra) prodotto da una legge di bilancio nata con l’obiettivo dichiarato di rilanciarli.
Con i numeri elencati dal maxiemendamento che ieri ha finalmente trovato la strada di Palazzo Madama, quindi, l’effetto espansivo della manovra è affidato alla spesa corrente. Sarebbe questa, reddito di cittadinanza in primis, a dover garantire un po’ di brio alla nostra crescita, portandola nel 2019 al +1% delle ultime stime governative dallo 0,6% che si realizzerebbe secondo il tendenziale (cioè senza gli effetti delle nuove norme). Per misurare il grado di ambizione di questo obiettivo servono un altro paio di cifre. Secondo gli ultimi calcoli Mef la frenata della congiuntura e la spesa in crescita per gli interessi hanno spinto il deficit tendenziale del prossimo anno all’1,4%. La manovra lo porta al 2%, aumentandolo di 0,6%. Da qui dovrebbe arrivare lo 0,4% di crescita in più.
L’Ufficio parlamentare del bilancio, che con la mancata validazione del programma di ottobre aveva aperto le danze degli scontri europei sulla manovra, in una nota flash pubblicata ieri sottolinea i «non trascurabili rischi al ribasso» delle previsioni di crescita, che comunque vengono giudicate «plausibili» con una buona dose di prudenza. E questi rischi, spiega sempre l’Authority parlamentare sui conti, sono «amplificati» se si guarda al 2020 e al 2021.
I conti di quegli anni sono infatti aggrappati ai quasi 52 miliardi di clausole Iva, che secondo i conti presentati da Roma non dovrebbero fermare la crescita di consumi e Pil (si veda Il Sole 24 Ore di venerdì). Nel 2020 e 2021 dovrebbe ripartire anche la spesa per gli investimenti, ma a darle spazio nei saldi concordati con la Ue sono proprio i super-aumenti Iva messi in calendario. Cancellandoli, come il vicepremier Di Maio ha già promesso, il deficit salirebbe al 3% (e lo strutturale al 2,8%), e le cifre sarebbero ancora peggiori in caso di crescita più deludente del previsto. E se l’intesa tutta politica raggiunta in extremis con la Ue reggerà alla prima verifica di gennaio, sarà il Def di aprile a dover tornare ai numeri.
Rispetto ai tendenziali, 4 decimi di Pil in più grazie a un +0,6% di disavanzo. Senza Iva deficit 2020 al 3%