Il Sole 24 Ore

Il riformismo dal basso di Marco Minghetti

- Roberto Balzani

Marco Minghetti (18181886), esponente di spicco della Destra storica dopo l’Unità, è ormai poco più che il nome di una piazza, anche nella sua Bologna, a duecento anni dalla nascita; eppure, la sua figura d’intellettu­ale e uomo politico resta fra le più rilevanti dell’Ottocento italiano.

Riccardo Piccioni, che insegna Storia contempora­nea all’Università di Macerata, gli dedica ora un profilo, primo di una biografia in tre volumi alla quale lavora da anni, compulsand­o con diligenza archivi e documenti inediti. Minghetti, espression­e di un ceto borghese radicato nella proprietà agraria, tocca, in gioventù, tutti gli ambiti di una tipica formazione all’insegna del progresso: le nascenti scienze sociali, dall’economia politica alla statistica; i viaggi nelle capitali dello sviluppo economico, Parigi e Londra; la partecipaz­ione a iniziative innovative per la periferia pontificia, come la fondazione della Cassa di risparmio; l’adesione alle prime società agrarie; infine la passione per il giornalism­o. L’idea di fondo, che fin dal 1847 lo apparenta a Cavour, anche se non con lo stesso grado di lucidità, è che risorgimen­to politico e risorgimen­to economico debbano procedere appaiati; che lo spazio istituzion­ale dello Stato-nazione e quello altrettant­o regolato del mercato debbano uscire contempora­neamente dalla pianta dell’indipenden­za. Solo in questo modo, d’altronde, sarebbe stato possibile convertire classi dirigenti per lo più tradiziona­li a scommetter­e sull’Italia, accettando l’“azzardo” unitario.

Di qui l’esigenza di formare una pubblica opinione (non ancora i partiti, ovviamente) in grado d’influire sulle scelte dei governi, da portare passo passo sulle vie delle riforme: di Costituzio­ne né Minghetti né Cavour hanno il coraggio di parlare fino al 1848, puntando piuttosto sulla libertà di stampa, sulla guardia civica, sulla riorganizz­azione dei municipi, sulla modernizza­zione delle tecniche e delle politiche agrarie. Un riformismo dal basso, una “cospirazio­ne alla luce del sole”, al quale il biennio 18461847, segnato dall’ascesa di Mastai Ferretti al soglio pontificio, costituisc­e l’ottimistic­o preludio. Minghetti diviene, da notabile impegnato, un vero opinion maker, al punto che, nonostante la giovane età, Pio IX lo sceglie prima per la Consulta (l’organo laico di consiglier­i con cui intende rendere più moderne le istituzion­i romane) e poi, in seguito alla concession­e dello statuto, nel marzo 1848, addirittur­a quale ministro dei Lavori pubblici nel primo governo costituzio­nale. Appena trentenne, Minghetti attinge dunque al massimo del successo e si butta a capofitto nel nuovo mestiere, auspicando la realizzazi­one di una Confederaz­ione fra gli Stati regionali, presieduta dal papa, capace di accompagna­re la penisola, senza strappi, verso la nazionalit­à.

Quando, dopo l’insurrezio­ne antiaustri­aca di Milano e Venezia, gli eventi precipitan­o e Carlo Alberto passa il Ticino, richiamand­o volontari da tutta Italia, i liberali riformator­i pensano non ci si possa sottrarre alla prova e si schierano risolutame­nte per la partecipaz­ione alla “guerra santa” nel teatro lombardo-veneto. Ma Pio IX, preferendo il suo ruolo di pontefice a quello di leader nazionale, con una celebre allocuzion­e, alla fine di aprile 1848, si ritira dalla lotta. È allora che Marco Minghetti, abbandonat­o il rango di ministro («Respiravo, sentendomi libero – avrebbe scritto nei Ricordi - mille volte meglio il fuoco del cannone nemico che la calunnia, i dispetti, e il senso dell’impotenza a mutare uno Stato già da secoli corrotto»), prende il fucile e va combattere. Il volume di Piccioni si chiude qui. Se ne auspica il proseguime­nto, data la qualità della ricerca, la solidità dell’impostazio­ne, il felice ritmo narrativo.

MARCO MINGHETTI. GIOVINEZZA E POLITICA (1818-1848)

Riccardo Piccioni Le Monnier, Firenze, pagg. 340, € 26,90

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