Il Sole 24 Ore

La realtà? Non ci riguarda

- Ermanno Bencivenga

IPentagon Papers furono uno studio di settemila pagine commission­ato dal segretario della Difesa americano Robert McNamara nel 1967, sulla storia della guerra nel Vietnam dal 1945. Lo studio era tanto segreto che non ne era a conoscenza neanche Lyndon Johnson, allora presidente degli Stati Uniti. Dal 1969 Daniel Ellsberg, che ci aveva lavorato, prese a farne copie, con l’intenzione di rivelare al pubblico le menzogne e i crimini commessi dal governo nella conduzione della guerra, e nel febbraio del 1971 lo consegnò al New York Times, che in giugno cominciò a pubblicarl­o. Il nuovo presidente Richard Nixon tentò di bloccare l’operazione e il caso procedette fino alla Corte suprema, che nello stesso giugno si pronunciò a favore del giornale citando il valore e la responsabi­lità di una stampa libera. La reazione di Nixon, che formò un'unità investigat­iva deputata a bloccare ogni ulteriore fuga di notizie, avrebbe portato al Watergate e alla definitiva rovina della sua presidenza. Il 18 novembre 1971 Hannah Arendt pubblicò un saggio sulla New York Review of Books dedicato ai Pentagon Papers, intitolato Lying in Politics e particolar­mente attuale nel nostro mondo di fake news, che la rinnovata casa editrice Marietti 1820 ha reso accessibil­e in una ben curata edizione bilingue.

Il saggio di Arendt comincia con un’osservazio­ne inquietant­e: «La veridicità non è mai stata annoverata tra le virtù politiche, e le menzogne sono sempre state considerat­e come strumenti giustifica­bili nella gestione degli affari politici». Ancor più inquietant­e è il fatto che Arendt non prende immediatam­ente le distanze da questa pratica, a differenza, per esempio, di Socrate nel Gorgia platonico, ma la comprende e la approva. La politica, dice, agisce, cambia il mondo, dà inizio a qualcosa di nuovo, e un presuppost­o per questa sua azione è rinnegare la realtà presente, affermando una realtà diversa che al momento è, e forse rimarrà per sempre, un progetto. «La deliberata negazione della verità fattuale – la capacità di mentire – e la possibilit­à di cambiare i fatti – la capacità di agire – sono fra loro connesse; devono la loro esistenza a un’unica risorsa: l’immaginazi­one.» Dunque «la menzogna non è sgattaiola­ta dentro la politica per un qualche caso dell’umana tendenza a peccare»; le è connaturat­a e vitale.

Chi mente, però, manifesta con il suo mentire l’esistenza di una verità che vuole occultare o emendare, quindi esprime un intimo riconoscim­ento e rispetto della verità: «il guaio con il mentire e l’ingannare è che la loro efficacia dipende interament­e da una chiara nozione della verità che il bugiardo e l’ingannator­e intendono nascondere». Ed è qui che, secondo Arendt, gli impostori denunciati dai

Pentagon Papers si rivelano una specie nuova. Sono brillanti intellettu­ali,

problem-solvers, «affascinat­i dalla mera dimensione degli esercizi mentali» che il compito loro proposto richiede, fieri di portarlo a termine con successo. Qual è il compito? Manipolare l’opinione pubblica, favorire o almeno non deprimere il consenso, vincere le prossime elezioni. Se questo è il compito, che importa se gli esperti non credono all’effetto domino (in base al quale un paese dopo l’altro sarebbe caduto nell’orbita comunista, quindi bisognava evitare che ci cadesse il Vietnam), se Unione Sovietica e Cina sono ai ferri corti, se i guerriglie­ri sud-vietnamiti sostengono la loro lotta in modo ampiamente autonomo da rifornimen­ti dal Nord e, soprattutt­o, se la guerra non può essere vinta: sono notizie scomode che porterebbe­ro il governo a un declino di popolarità e a perdere voti. Dunque diremo il contrario, perché quel che accade davvero non ci riguarda.

I telegiorna­li americani non di parte insistono da anni sulle menzogne di Trump, che ormai contano a migliaia. Ma la lettura del saggio di Arendt ci fa capire che la parola «menzogna» non è adeguata per descrivere il fenomeno cui siamo di fronte e che, esploso ora in misura devastante, ha però origine nei decenni scorsi e si annunciava già nei

Pentagon Papers. Quando Dante, Machiavell­i e Leopardi invitano l’Italia alla riscossa sono consapevol­i di parlare di un sogno: sanno che l’Italia cui fanno appello non esiste e non è mai esistita. Parlarne, evocarne il fantasma, è un atto politico. Ciò con cui abbiamo a che fare adesso, invece, quando ci si dice che dai tre ai cinque milioni di immigrati clandestin­i hanno votato per la Clinton, o che due persone furono uccise a Chicago mentre Obama vi faceva un discorso, è il risultato di un isolamento dalla verità, di una dimentican­za della verità, quindi anche della menzogna. Il sogno non è più tale perché non si oppone più alla realtà; sogno e menzogna non esistono più perché realtà e verità non esistono più. E non esiste più la politica, se per essa intendiamo, come Arendt, azione che cambia il mondo. Ormai del mondo basta parlarne, come ci piace e ci diverte, il che vuole anche dire che non lo cambieremo: che ricchi e poveri, potenti e deboli rimarranno ciascuno al proprio posto.

LA MENZOGNA IN POLITICA: RIFLESSION­I SUI PENTAGON PAPERS

Hanna Arendt Traduzione di Veronica Santini, prefazione di Olivia Guaraldo, Bologna, Marietti 1820, pagg. XXXVIII+85, € 10

La menzogna in politica, ormai dilagante, era già

anticipata dai «Pentagon Papers»

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