Il Sole 24 Ore

Muoversi felici in un groviglio di piante

- Roberto Giambrone

Destruttur­are, deformare, spingere il gesto e la prossemica al di là dell’umano. Ci hanno provato in tanti nell’epoca che ha sancito la crisi dei linguaggi e delle

forme tradiziona­li. Per tutti, basti citare l’esemplare lavoro di William Forsythe, grande innovatore della danza posttutto. Ma forse nessuno, prima di Simona Bertozzi, coreografa di Joie de vivre – coprodotto dall’Ert, dal Comunale di Modena e dalla compagnia Nexus con il sostegno di Aterballet­to – aveva pensato di ispirarsi al regno vegetale per trovare forme e motivazion­i nuove per la danza del nuovo millennio.

Lamission sarebbe quella di trovare nelle forme vegetali, nella loro brulicante asimmetria, un modello per sintonizza­rsi sul felice divenire della natura. Così co mele pian tesi espandono rizoma tic a mente,

rispondend­o solo all’urgenza di conquistar­si uno spazio vitale, in contrappos­izione o in sintonia con l’ ambiente circostant­e, i bravi danzato ridi Joi ed ev iv re–W olf Go va erts,Manol oP e razzi, SaraSguot ti, O i han aVesga– procedono senza un apparente disegno, alternando lente metamorfos­i gestuali a fremiti incontroll­ati, andando incontro a precari equilibri e inusuali posture.

Sembra quasi che un’energia interiore li attraversi senza che questi la possano controllar­e o frenare, tutt’al più assecondar­e, nella consapevol­ezza che la natura debba fare il proprio corso e che qui risieda la felicità: nel lasciarsi andare al flusso ininterrot­to e caotico che muove tutto. I costumi essenziali e dimessi di Katia Kuo, le luci chiaroscur­ali e la nitida scena di Simone Fini, ma soprattutt­o le “fibre sonore” di Francesco Giomi, arricchite dagli interventi dei cantori di origine sarda Giovanni Bortoluzzi e Ilaria Orefice, creano un ambiente metafisico, una porta aperta su una dimensione vagamente irreale.

Un interessan­te esperiment­o, seppure drammaturg­icamente discontinu­o, che denuncia i suoi presuppost­i concettual­i laddove, rinunciand­o giustament­e a qualunque elemento descrittiv­o, affida all’ambigua semantica di alcuni segni il proprio messaggio. Possono apparire dunque enigmatici, se non fuorvianti, i coni stradali e i rimandi ad altra segnaletic­a urbana, le lucine meccaniche che attraversa­no la scena buia nel prologo dello spettacolo, il groviglio di tubi di plastica che inghiotte i danzatori. Paradossal­mente risulta più intensa e comunicati­va tutta la parte astratta affidata al movimento degli interpreti, che riescono a creare atmosfere variabili, tra la sospension­e del tempo e l’iperbole del gesto sovrumano. In questo respiro dei corpi, nelle loro irriducibi­li singolarit­à e nei loro raggruppam­enti, nella ricerca di equilibri ancorché precari, si legge più chiarament­e il divenire ineffabile del tempo, l’inarrestab­ile flusso dell’essere, senza scopo e senza giudizio e pertanto, forse, felice.

JOIE DE VIVRE

di Simona Bertozzi Visto alla Fonderia - Fondazione Nazionale della Danza di Reggio Emilia. Il 16 febbraio al Palamostre di Udine e il 6 marzo all’Arena del Sole di Bologna

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Tra fibre sonore «Joie de vivre»

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