Muoversi felici in un groviglio di piante
Destrutturare, deformare, spingere il gesto e la prossemica al di là dell’umano. Ci hanno provato in tanti nell’epoca che ha sancito la crisi dei linguaggi e delle
forme tradizionali. Per tutti, basti citare l’esemplare lavoro di William Forsythe, grande innovatore della danza posttutto. Ma forse nessuno, prima di Simona Bertozzi, coreografa di Joie de vivre – coprodotto dall’Ert, dal Comunale di Modena e dalla compagnia Nexus con il sostegno di Aterballetto – aveva pensato di ispirarsi al regno vegetale per trovare forme e motivazioni nuove per la danza del nuovo millennio.
Lamission sarebbe quella di trovare nelle forme vegetali, nella loro brulicante asimmetria, un modello per sintonizzarsi sul felice divenire della natura. Così co mele pian tesi espandono rizoma tic a mente,
rispondendo solo all’urgenza di conquistarsi uno spazio vitale, in contrapposizione o in sintonia con l’ ambiente circostante, i bravi danzato ridi Joi ed ev iv re–W olf Go va erts,Manol oP e razzi, SaraSguot ti, O i han aVesga– procedono senza un apparente disegno, alternando lente metamorfosi gestuali a fremiti incontrollati, andando incontro a precari equilibri e inusuali posture.
Sembra quasi che un’energia interiore li attraversi senza che questi la possano controllare o frenare, tutt’al più assecondare, nella consapevolezza che la natura debba fare il proprio corso e che qui risieda la felicità: nel lasciarsi andare al flusso ininterrotto e caotico che muove tutto. I costumi essenziali e dimessi di Katia Kuo, le luci chiaroscurali e la nitida scena di Simone Fini, ma soprattutto le “fibre sonore” di Francesco Giomi, arricchite dagli interventi dei cantori di origine sarda Giovanni Bortoluzzi e Ilaria Orefice, creano un ambiente metafisico, una porta aperta su una dimensione vagamente irreale.
Un interessante esperimento, seppure drammaturgicamente discontinuo, che denuncia i suoi presupposti concettuali laddove, rinunciando giustamente a qualunque elemento descrittivo, affida all’ambigua semantica di alcuni segni il proprio messaggio. Possono apparire dunque enigmatici, se non fuorvianti, i coni stradali e i rimandi ad altra segnaletica urbana, le lucine meccaniche che attraversano la scena buia nel prologo dello spettacolo, il groviglio di tubi di plastica che inghiotte i danzatori. Paradossalmente risulta più intensa e comunicativa tutta la parte astratta affidata al movimento degli interpreti, che riescono a creare atmosfere variabili, tra la sospensione del tempo e l’iperbole del gesto sovrumano. In questo respiro dei corpi, nelle loro irriducibili singolarità e nei loro raggruppamenti, nella ricerca di equilibri ancorché precari, si legge più chiaramente il divenire ineffabile del tempo, l’inarrestabile flusso dell’essere, senza scopo e senza giudizio e pertanto, forse, felice.
JOIE DE VIVRE
di Simona Bertozzi Visto alla Fonderia - Fondazione Nazionale della Danza di Reggio Emilia. Il 16 febbraio al Palamostre di Udine e il 6 marzo all’Arena del Sole di Bologna