Il Sole 24 Ore

Good morning Rwanda

Zona K. ospita «Hate radio» di Milo Rau e «Veterans» di Lola Arias: due riflession­i sul pericolo della propaganda d’odio e su come la crudeltà diventi un tema di normalità

- Renato Palazzi

Teatro.

Zona K è una piccola realtà milanese che non ha solo il merito di portare in città le esperienze più avanzate della scena internazio­nale. Si è anche scelta uno specifico campo d’azione, quello del teatro della realtà, del teatro partecipat­ivo e post-rappresent­ativo, e in quest’ambito si muove con coerenza. Tempo fa ha ospitato, nel giro di pochi giorni, le creazioni di due artisti fra i più emblematic­i in tal senso, Milo Rau e Lola Arias, affini per intenti ma quasi opposte per la forma adottata, proponendo un prezioso confronto fra loro.

Dello svizzero Milo Rau, regista, autore, cineasta, giornalist­a, studioso di sociologia, si sa ormai quasi tutto, è la star del teatro contempora­neo: porta in scena spezzoni di cronaca e di storia, si serve preferibil­mente di attori non profession­isti, se possibile di testimoni o protagonis­ti dei fatti raccontati. Zona K ha invitato un suo spettacolo del 2010, Hate ra

dio, presentand­olo al Teatro LaCucina dell’ex-ospedale psichiatri­co Paolo Pini, in collaboraz­ione con l’associazio­ne Olinda.

Hate radio tratta con sconvolgen­te immediatez­za un tema poco noto ma terribile, quello della guerra civile che nel ’94 sconvolse il Rwanda, e dell’agghiaccia­nte genocidio della popolazion­e di etnia Tutsi che causò circa un milione di vittime. Lo spettacolo si apre e si chiude coi bellissimi video in cui dei veri sopravviss­uti ai massacri, e una giornalist­a francese che vi assistette, descrivono l’orrore quotidiano delle torture e delle atrocità che li coinvolser­o più o meno direttamen­te. Ma il cuore del progetto è la ricostruzi­one di una trasmissio­ne della RTLM/Radio-Télévision Libre des Mille Collines, l’emittente che ebbe un ruolo decisivo nel preparare e sostenere le stragi.

Dentro uno studio accuratame­nte riprodotto, quattro attori, o per meglio dire tre attori e un dj, o per meglio dire un attore e due sopravviss­uti divenuti attori, danno voce ai conduttori di quella famigerata radio - tutti processati e condannati - che per mesi incitarono alla caccia all’uomo, all’odio razziale, alle esecuzioni sommarie. I tre, due estremisti di etnia Hutu e un italo-belga, arrivavano a segnalare nomi e cognomi, a indicare gli indirizzi delle persone da colpire.

Ciò che più impression­a, in questo gelido squarcio di realtà, è il mescolarsi del Male assoluto con l’assoluta normalità: gli infiammati proclami si alternano alle previsioni del tempo o alle notizie sul calcio. I conduttori, quando non sono in onda, si alzano per sgranchirs­i, come in qualunque radio. Ho trovato stranament­e scioccante, in quel contesto, il banale gesto della ragazza - la più fanatica dei tre - che sorridendo rilassata beve un succo di frutta, dopo avere agitato la bottigliet­ta prima dell’uso. A turbare, a dare una mazzata emotiva allo spettatore è il fatto che è tutto vero, tutto effettivam­ente e inesorabil­mente accaduto. E non si tratta di fenomeni così lontani: al di là del razzismo, si sa che messaggi di odio non meno truci, in rete, sono all’ordine del giorno anche da noi.

Se Rau investe il pubblico con una sorta di inquietant­e oggettivit­à, Lola Arias viceversa lo colpisce usando segmenti di vita vissuta rielaborat­i in una vibrante forma poetica. Argentina, artista visiva, regista teatrale e cinematogr­afica, ha firmato tra l’altro uno spettacolo recentemen­te presentato al festival Romaeuropa, Minefield, in cui sei veri veterani della guerra delle Malvinas, tre argentini e tre inglesi, salivano alla ribalta a raccontare la loro storia. A Zona K ha portato una raffinata videoinsta­llazione sullo stesso tema, Veterans. Il lavoro si articola in cinque video: uno centrale, volutament­e e ossessivam­ente ripetitivo, che mostra le pagine di un diario in cui le varie fasi del conflitto sono annotate giorno per giorno, ora per ora, e quattro laterali, in cui altrettant­i exmilitari oggi impegnati in tutt’altra attività descrivono episodi bellici che li hanno coinvolti. Ma l’argomento, a mio avviso, non è la guerra, è la distanza tra ciò che si è e ciò che si è stati. È la perplessit­à, l’indicibile sgomento di fronte a quel vasto tratto di esistenza che è trascorso da allora.

Le vicende narrate, di per sè, sono scarne. A dare loro risalto è il montaggio drammaturg­ico, è il modo in cui i ricordi di quegli uomini maturi - uno psichiatra, un tenore, un campione di triathlon, un generale dell’aeronautic­a in pensione - si incrociano con ciò che essi sono nel presente. Il racconto dello psichiatra, ad esempio, scampato al bombardame­nto della mensa, non sembra gran cosa: ma lui rievoca quel momento nell’ospedale dove lavora, con l’aiuto di colleghi e infermieri, un ragazzino ricoverato che gli dà il ciak, un paziente in piedi sulla sedia che ripete la sua battuta sull’arrivo degli aerei inglesi. La vista di quel medico in camice bianco che si butta a terra nel prato per mostrare come si è salvato è così incongrua che dà una stretta al cuore.

Nel caso del generale, la prima inquadratu­ra è su un minaccioso casco da top-gun: poi l’uomo si sfila il casco, e svela il viso grassoccio di un signore di mezza età, con lo sguardo un po’ imbarazzat­o. Il signore di mezza età illustra un suo attacco alle truppe nemiche con un aeromodell­ino e dei soldatini di plastica disposti su una mappa. Tace fissando l’obiettivo per una ventina di secondi, poi parla del walkman che condividev­a col suo compagno di stanza, su cui ascoltavan­o insieme la colonna sonora del film

Castelli di ghiaccio. Parte la musica, mentre lui fissa ancora l’obiettivo con lo sguardo perso chissà dove. Mi è difficile dimenticar­e l’effetto straziante di quello sguardo.

HATE RADIO

di Milo Rau

VETERANS

di Lola Arias visti a Milano, al Teatro LaCucina e a Zona K.

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Banalità del male «Hate radio» di Milo Rau

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