Il Sole 24 Ore

Un calcio alla Grande Guerra

Il football italiano immolò sul fronte 258 atleti. Nel post conflitto partì la corsa per dedicare gli stadi alla memoria dei caduti. Tra eroismi, miti e leggende

- Maria Luisa Colledani

Finalmente tornò Natale, senza trincee né cannoni. Era il dicembre 1918, cent’anni fa. La Grande guerra era finita da poco. Lo sport, ancora una volta, fu carburante per riaccender­e la vita tanto che già nel 1919 si vedeva un accenno di campionato di calcio e si correva il Giro d’Italia.

Il Natale del 1918 fu pace e non più solo il fuoco di paglia della tregua del Natale 1914, quando, a Ypres (Belgio) i soldati tedeschi intonarono Stille Nacht, Heilige Nacht accendendo candele lungo le trincee, seguiti dai militari britannici con i quali poi giocarono a pallone, fino a far scrivere ai giornali d’Oltremanic­a «fu una delle più grandi sorprese di una guerra sorprenden­te».

Sul campo - come ricorda anche lo spettacolo Palle giratee altre storie di Michele D’Andrea (www.micheledan­drea.it) - erano rimasti 17 milioni di morti; solo in Italia 650mila, un milione i feriti, 430mila i mutilati e di 100 che partirono 13 non tornarono. Lo sport non fu indenne alla carneficin­a: il solo calcio immolò 258 atleti. La Juventus perse il suo secondo presidente, Enrico Canfari; l’Internazio­nale 26 soci; il Milan pianse 12 fra atleti e dirigenti; Udinese ed Hellas furono dimezzate; fu ucciso James R. Spensley, promotore del calcio a Genova.

Di tutti quei calciatori, oggi, non restano che tracce nei nomi di alcuni stadi italiani: pochi nomi, carichi di storie e dello spirito eroico che permeava il

football prima maniera. In Italia, dopo il conflitto inizia un periodo di fermento: per dare slancio all’economia si inizia a costruire. Nuove strade, linee ferrate e anche tanti impianti sportivi, soprattutt­o in concomitan­za con la svolta

fascistiss­ima del governo che puntava a plasmare una razza italiana forte e indomita. Erano già 2.450 nel 1930 e la Fifa accettò la candidatur­a dell’Italia ad ospitare il Mondiale del 1934 perché il Paese disponeva di impianti nuovi e moderni. Per quale motivo, allora, oggi sono meno di dieci gli impianti che ricordano i caduti della Grande guerra? «Se nel primo dopoguerra alcuni stadi furono dedicati alla memoria dei caduti, il regime cercò invece di imporre un’impopolare spersonali­zzazione, scegliendo denominazi­oni quali “del Littorio” o “Littoriale”», così scrive Fabio Caffarena, docente di Storia contempora­nea

a Genova nella prefazione al volume La Grande Guerra nel pallone. Ciccione, Ferraris, Picco: gli stadi di calcio

della Liguria (edizioni Lo Sprint). Il libro, ricco di documenti e scritto con acume dallo storico di Imperia, Enzo Ferrari, è prezioso per ricostruir­e co mela memoria, proprio a causa del Fascismo, impallidis­ca quasi subito. Il primocalci­atore italiano caduto è ricordato dal “Genova 1893” (non ci si poteva certo chiamare Genoa!): nel 1933 la società rossoblù, proprietar­ia del Campo di Via del Piano, decide, per i 40 anni di storia, di dedicare l’impianto a Luigi Ferraris, morto il 23 agosto 1915 a Monte Maggio, in Trentino. Alto, di bel portamento, una barba sempre curata, centromedi­ano poderoso e tenace( immaginiam­o un De Rossi di altri tempi), capitano del Genoa, in campo dal 1904 al 1911, aveva appeso gli scarpini al chiodo per entrare alle Officine Elettriche Genovesi e poi agli Stabilimen­ti Pirelli di Milano. Può evitare la guerra grazie al lavoro ma sceglie il fronte: è un interventi­sta convinto e muore colpito da una granata. Il Genoa gli intitola lo stadio: è il 1° gennaio 1933. Ventimila persone, una lapide per il capitano, un opuscolo con la storia del club, un’amichevole con gli Young Boys e senza dover pagare il biglietto, il pallone che arriva su un idrovolant­e. Una festa immensa che costa denari e sacrifici alla società ma ci sono più leggende che riscontri sui giornali dell’epoca riguardo all’interramen­to della medaglia d’argento al valore assegnata a Ferraris nell’area di rigore sotto la gradinata Nord. Però, nonostante le lacune documental­i, le nipoti di Luigi Ferraris, Paola e Laura, due eleganti e lucide signore di 90 e 80 anni, ricordano ancor oggi che in famiglia si parlava spesso di quella cerimonia di interramen­to come di un legame eterno fra il capitano (loro zio, ndr), la società e i tifosi. Chissà…

Altri due stadi liguri ricordano eroi della Prima guerra. Alberto Picco (1894-1915) è stato tra i fondatori dello Spezia, primo capitano e autore del primo gol del club: «Uno sorta di eroe mitizzato in città al quale lo stadio viene intitolato nel 1919 - ricorda Enzo Ferrari -. Il Fascismo, proprio per la forza simbolica del giocatore, non osa scalzare

il suo nome e sostituirl­o con il consueto “del Littorio”». Meno nota, invece, la figura di Nino Ciccione (18931918), nato ad Oneglia, portiere che sceglie la prima linea per “vendicare il cugino” e al quale lo stadio di Imperia

è intitolato nel 1959. Il libro di Ferrari

ridà voce a questo fante “animo esuberante e generoso” e convinto interventi­sta: «Ritengo che da questa guerra i popoli se ne avvantagge­ranno. Come Mussolini, credo che dopo la guerra il mondo camminerà meglio».

Gli altri impianti in memoria di caduti della Grande guerra sono il Forlano di Stresa, lo Zini di Cremona (ma “polisporti­vo Farinacci” in epoca fascista), l’Appiani di Padova, lo Zugni Tauro di Feltre e il Virgilio Fossati di Milano (oggi Campo di Via Goldoni), che fu casa dell’Inter dal 1913 al 1930.

Insomma, lacerti di storia. Nuda nomina tenemus ma in quegli stadi sono

custoditi frammenti preziosi di un calcio che fu, tutto in bianco e nero, pieno di ardimento e con vista sulla tempesta della Grande guerra.

 ??  ?? Il tempio del calcioIl 1° gennaio 1933 il «Genova 1893» intitola lo stadio di Marassi (infoto, una cartolina degli anni 20) a Luigi Ferraris, già capitano del club più antico d’Italia e caduto nella Grande guerra
Il tempio del calcioIl 1° gennaio 1933 il «Genova 1893» intitola lo stadio di Marassi (infoto, una cartolina degli anni 20) a Luigi Ferraris, già capitano del club più antico d’Italia e caduto nella Grande guerra

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