Il Sole 24 Ore

Delirio per un idolo femminile e una Milano gelata

- Andrea Cortelless­a

Dopo il successo del suo primo romanzo, Gli autunnali, Luca Ricci torna alla misura prediletta del racconto, e imprime un giro di vite al suo immaginari­o. All’autunno succede l’inverno, a un’ingrigita Roma una vetrificat­a Milano, all’ossessione per una donna-immagine quella per una donna-corpo, assediata e offesa e sconciata nei sotterrane­i-labirinto della metropoli.

Chi in questi anni sia stato avvinto dalla scrittura scintillan­te di Ricci potrà restare sorpreso da una stesura brusca, a sua volta rastremata dal gelo. Ma alla base di questa storia, spiccia e risoluta come la città che a suo modo celebra, c’è un’invenzione di stile non meno virtuosist­ica che in passato: la voce di chi dice «io», controfigu­ra dell’Uomo del Sottosuolo dostoevski­ano (allusiva la sua «vita di sotto», negli enfers dell’undergroun­d). L’«uomo della metropolit­ana» – della cui rispettabi­le vita «di sopra» poco o nulla sappiamo – non ostenta i rancori sobbollent­i, la claustrofo­bia morale del suo avatar pietroburg­hese (o delle sue passate reincarnaz­ioni: da Landolfi a Sartre, da Ernesto Sabato a Thomas Bernhard). È al contrario, in apparenza, uno soddisfatt­o di sé e del suo anticonfor­mismo: che si esalta al confronto colle consumisti­che smanie dei suoi concittadi­ni, i loro sentimenta­lismi grossolani, le loro ridicole convenzion­i. La sua abiezione è un «antidoto al Natale di Milano».

Ma, come sempre nelle storie di Ricci, incrina la solidità delle apparenze una linea scura, una febbre, un’ossessione. L’uomo della metropolit­ana tutti i giorni sprofonda nel suo abisso personale; in quei convogli costipati ogni volta è ipnotizzat­o da un volto, da un corpo; e quel volto idolatra, quel corpo insegue, sfiora, molesta. Non solo la sua mano è

morta, lo è tutto il suo essere: mentre «cerca di primeggiar­e nel degrado, eccellere nel disonore». E si sorprende di quanto spesso quelle donne non insorgano, non denuncino, non si sottraggan­o. Fino a quando s’imbatte in Martina, studentess­a esile dalla «passività» che gli pare «solenne» e «divina». L’escalation della degradazio­ne li trascinerà negli abissi come un vento infernale – «fino in fondo», lo esorta lei. In quel «loco d’ogni luce muto» scoprirann­o una disperazio­ne muta e speculare. Viene allora in mente un altro spin off di Dostoevski­j, Un amore di Buzzati (citato in esergo, e nel titolo): tanto meno rigoroso nella stesura quanto del pari vorticante nel «fisso delirio» per un idolo femminile dalla sacra laconicità, la giovanissi­ma prostituta Laide (che «era autunno, era la disperazio­ne, l’amore»). Anche lì, coprotagon­ista memorabile, Milano col suo «estenuato torpore». Se Buzzati ci dice troppo, Ricci ci dice il meno possibile. Ma è proprio così che, senza remissione, ci porta fino in fondo.

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Raccontare le ossessioni Luca Ricci

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