Carraro, la seconda vita delle macchine Riparte dal primo trattore ibrido
Il cambio generazionale ai vertici è stato l’antidoto migliore contro la crisi
Quando la crisi è arrivata, inattesa, il gruppo Carraro di Campodarsego, Padova, era in piena volata: nata come attività artigianale, portata da Mario Carraro a gruppo internazionale, poi guidata dai figli Enrico e Tomaso (rispettivamente presidente e vicepresidente), aveva vissuto dalla fine degli anni Novanta un periodo di forte spinta all’internazionalizzazione, con numerose acquisizioni, e alla diversificazione. E aveva toccato un miliardo di fatturato, dimezzato nel giro di un anno: era il 2008.
Dieci anni dopo, questa è una storia di ritorno alla solidità: un aumento di capitale (nel 2017), un piano strategico 2017-2021 impostato sulla crescita, un bond da 180 milioni chiuso in tempi record e l’accordo con Bpm per ulteriori 100, il ritorno al dividendo annunciato nell’ultima assemblea degli azionisti e i dati positivi del primo semestre 2018. E nel frattempo due compleanni: i 30 anni di Siap (il centro di ingranaggeria di elevata qualità) di Maniago nel gruppo e i 50 della base padovana, dove stanno nascendo un nuovo magazzino semi automatizzato e un’area ricerca e sviluppo per prototipi e test.
Se i vecchi piani – prima che la crisi scompaginasse la scena – immaginavano un fatturato a quota due miliardi, oggi l’azienda viaggia sui 630 milioni, interamente legati al suo core business: sistemi di trasmissione per macchine agricole e movimento terra e trattori specializzati per vigneto e frutteto. La riorganizzazione guidata dal presidente Enrico Carraro ha portato la chiusura del sito di Gorizia, ma l’occupazione complessiva in Friuli Venezia Giulia è superiore a quella iniziale.
Dieci anni, presidente, che sembrano chiudere un cerchio: come vi siete mossi?
A fare la differenza è stata la squadra: quando ancora si ragionava su che tipo di crisi stessimo affrontando, qui è stata completamente rivoluzionata la prima linea di comando, a cominciare dall’amministratore delegato Alberto Negri, puntando su persone capaci di cambiare schemi, e di prendere decisioni senza doversi giustificare mai. Una lezione che ci ha reso in qualche modo più forti, oltre che più prudenti: conosciamo meglio i nostri clienti, abbiamo selezionato i fornitori. Se dovesse capitare di nuovo non ci faremmo prendere alla sprovvista, come chi ha combattuto una malattia e ha sviluppato anticorpi.
Avete anche deciso si concentrarvi sul prodotto storicamente di punta...
È quello che sappiamo fare bene, e grazie all’innovazione possiamo anche sganciarci dalla competizione con i produttori dei Paesi a basso costo. Abbiamo rinunciato alla presenza in settori più o meno affini, come il fotovoltaico (Santerno è stata venduta lo scorso novembre) o gli ingranaggi di piccole dimensioni (con la cessione della tedesca O&KA a Bonfiglioli). Non vediamo al momento flessioni di fatturato, ma abbiamo strutturato l’azienda per essere più flessibile e reattiva, per poter reggere eventuali cali.
Che cosa la preoccupa del contesto attuale?
L’Italia paga un rischio Paese importante, e questo pesa anche su aziende fortemente esportatrici come la nostra. Molti imprenditori veneti hanno dato fiducia alla Lega, e ora ne sono delusi, in particolare dalla sua componente romana che pare rimettere in discussione il ruolo fondamentale delle imprese nel creare sviluppo e lavoro. Una questione che speravamo superata, invece ci ritroviamo senza condizioni favorevoli a lavorare e investire, e non parlo certo di aiuti o sovvenzioni che non ci interessano.
Voi avete investito molto all’estero: in India Carraro ha raddoppiato il sito che dà lavoro a 2mila persone, ed è presente Cina. Quali differenze rispetto all’Italia?
Lo stabilimento cinese è stato realizzato in circa nove mesi: basta questo a rendere l’idea. Non cadiamo però nell’errore di pensare che l’estero sia sempre migliore: avevamo anche un sito in Germania, e ci abbiamo rinunciato. Va detto che in molti Paesi si dà grande valore a chi porta occupazione: non abbiamo ancora preso in considerazione di riaprire in America, vedremo come si muoverà l’amministrazione Trump, ma una cosa va detta: se sono qui, devo andare dal mio sindaco a chiedere i permessi, dagli Usa ci chiamano gli amministratori dell’Illinois e dell’Indiana per chiederci se siamo interessati a investire e farci delle proposte.
Avete comunque continuato a investire in Italia.
Non solo: abbiamo potenziato qui il settore ricerca e sviluppo, perché significa mantenere il cervello vicino e sotto controllo diretto. Abbiamo investito in questo campo 140 milioni negli ultimi anni, altri 90 saranno spesi nei prossimi cinque. Il problema sarà poter contare su un numero sufficiente di tecnici e ingegneri: il Veneto è una regione poco attrattiva in questo senso, e sono più i laureati che se ne vanno di quelli che arrivano.
Che impatto hanno innovazione e industria 4.0 su Carraro?
In questi giorni abbiamo organizzato un evento di formazione per gli oltre 600 dipendenti di questo stabilimenti: tutti, anche chi sta nella linea di montaggio, perché questa rivoluzione riguarda tutti ed è una questione di mentalità, da cambiare qualunque ruolo si abbia in azienda. All’ultima fiera di settore, Eima di Bologna, abbiamo presentato per primi un trattore ibrido dedicato all’ambito specializzato da frutteto e vigneto. Chi ce lo ha fatto fare? Quanti ne avremmo venduti? Non ce lo siamo chiesto, perché andava fatto. E questo veicolo dimostrativo ha generato un interesse davvero superiore alle attese, con idee e proposte di nuovi possibili utilizzi, nelle serre ad esempio, nei magazzini o nei centri urbani dove i mezzi a gasolio presto non entreranno più e si userà la modalità elettrica. Una singola innovazione che ne ha trainate molte altre.
Il vostro è un caso di passaggio generazionale compiuto: come lo avete gestito?
Ci hanno aiutato diversi fattori, a cominciare da una dimensione aziendale sufficiente da poter garantire la presenza di un management forte e autorevole, capace di garantire continuità in ogni caso. È necessario che ci sia chi è distaccato dallo sguardo familiare: altrimenti chi ti avvisa se stai sbagliando? In generale, troppe aziende non riescono a rendersi attrattive nei confronti delle seconde e terze generazioni, che scelgono di fare altro. E saper delegare è spesso ancora difficile.
Suo padre, Mario Carraro, è uno dei simboli dell’imprenditoria del Nordest: qual è il suo ruolo adesso?
Viene in azienda quasi ogni giorno, parla con chi lavora, si interessa di molte cose: a quasi 90 anni riesce a essere la roccia di questa azienda senza mai mettere in discussione la scelta di lasciarne la guida.
Si è molto parlato di questa regione come di un modello in ambito economico: crede che abbia ancora un senso?
Stiamo cambiando. Per anni ci siamo detti che piccolo era bello, salvo poi scoprire che era una fake news. Ora ci sono le aggregazioni, le filiere, opportunità di collaborazione anche per chi non vuole fondersi né perdere autonomia. Stiamo evolvendo, e siamo in grado di competere con le aree più avanzate d’Europa. Abbiamo bisogno di fiducia per poter lavorare.