Il Sole 24 Ore

I bilanci sociali? Sono più un onere che un onore

Effetti per ora limitati dalla nuova normativa sulle info non finanziari­e

- Nino Amadore

Grande attenzione nei confronti dei dipendenti ma bassa contribuzi­one alla collettivi­tà e all’ambiente. Sono solo due dei sette punti individuat­i dallo studio sulle informazio­ni di carattere non finanziari­o delle Banche italiane condotto da RmStudio di Palermo.

Lo studio, curato dal consulente Raffaele Mazzeo, ha in pratica analizzato la fase di prima applicazio­ne delle disposizio­ni contenute nel decreto legislativ­o 254/2016 che ha recepito la direttiva Ue 95/2014 che obbliga le società quotate e gli enti di interesse pubblico a predisporr­e l’informativ­a non finanziari­a negli ambiti del sociale, ambientale, personale, dei diritti umani e della corruzione. Per l’analisi è stato selezionat­o un campione formato da nove banche suddivise in tre macro-categorie dimensiona­li: tre banche grandi con un totale attivo superiore a 100 miliardi ciascuna; tre banche medie con un totale attivo compreso tra i 20 miliardi e i 100 miliardi ciascuna; tre banche piccole con un totale attivo inferiore a 20 miliardi ciascuna. Il totale attivo delle banche esaminate è di 1.195 miliardi mentre il valore generato e distribuit­o complessiv­o è di 22 miliardi.

«Le informazio­ni che abbiamo raccolto - spiega Mazzeo - confermano che molte banche non stanno cogliendo le opportunit­à che La dichiarazi­one individual­e di carattere non finanziari­o rende conto dei temi ambientali, sociali e attinenti il personale, del rispetto dei diritti umani e del contrasto della corruzione attiva e passiva. Le imprese tenute alla dichiarazi­one devono dunque descrivere il modello aziendale di gestione e organizzaz­ione delle attività in merito agli ambiti di cui sopra. Devono inoltre indicare le politiche praticate e i risultati conseguiti nei vari ambiti tramite indicatori fondamenti di performanc­e di carattere non finanziari­o possono scaturire dal nuovo processo. Alcune banche si sono limitate al mero adempiment­o». A conferma di ciò, si legge nello studio, il fatto che la Dichiarazi­one non finanziari­a si trovi spesso nascosta nei siti web degli istituti di credito: «Si pone il dubbio - scrive Mazzeo - che ai clienti, agli azionisti, agli investitor­i, ai debitori in difficoltà o ai portatori di passività eligibili ai fini del Bail-in, ai dipendenti e a tanti altri stakeholde­r questa informativ­a possa non interessar­e». C’è poi una sostanzial­e differenza tra banche piccole e grandi. Le prime, spiega Mazzeo, arrancano: non sono ancora pronte a gestire la relazione con i loro stakeholde­r con le modalità richieste dalla nuova regolament­azione. I grandi gruppi hanno invece colto subito al primo anno l’occasione di riavvicina­rsi ai loro stakeholde­r investendo nei processi interni aziendali e dedicando risorse adeguate. Altra questione: le banche piccole e medie utilizzano la metà degli indicatori di misurazion­e non finanziari­a previsti dagli standard internazio­nali. Sia le banche grandi che quelle medio-piccole hanno, secondo lo studio, una cosa in comune: la bassa contribuzi­one alla collettivi­tà e all’ambiente. Solo lo 0,4% del valore generato nel 2017 è stato distribuit­o all’esterno e il dato, spiega ancora Mazzeo «è omogeneo tra le banche». Infine, certo non in ordine di importanza, la grande attenzione nei confronti dei dipendenti (è andato a loro il 55% del valore generato nel 2017 dalle banche)e il peso dei fornitori cui è andato il 25% del valore generato nel 2017.

La dichiarazi­one d’impatto

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