Il Sole 24 Ore

Serie A, il primo Boxing Day è stato un fallimento

Il primo Boxing Day non raggiunge il numero di spettatori auspicato Mancano i manager e resta un gap di competitiv­ità con il modello inglese

- Marco Bellinazzo

Il primo Boxing Day della Serie A è stato un fallimento per il calcio italiano: affluenza inferiore alle attese. Ad aggravare il quadro, i tragici fatti di Milano (dove era in programma Inter-Napoli), con gli scontri violenti e la morte di un tifoso.

Il primo Boxing Day della Serie A avrebbe dovuto rappresent­are una vetrina internazio­nale per il calcio italiano, emulando i fasti dei match della Premier League calendariz­zati nel pieno delle festività natalizie. E invece gli scontri di Inter-Napoli, la morte di un supporter nerazzurro( già destinatar­i odi D aspo) e l’ accoltella­mento di quattro napoletani, così come i cori razzisti contro il difensore partenopeo Kalidou Koulibaly e i ripetuti e vani avvisi ammonitori dello speaker di San Siro, hanno rovinato l’appuntamen­to facendo una pessima pubblicità a un movimento in cerca di rilancio.

L’ ingaggio da parte della Juventus di Cristiano R on aldo, come immaginabi­le, non può fare da panacea ai troppi mali di un’industria i cui numeri, nonostante le vicissitud­ini finanziari­e di tanti club, restano considerev­oli. Come certifica il Bilancio Integrato 2017 della Figc parliamo di un settore che coinvolge 4,6 milioni di praticanti e 1,4 milioni di tesserati e che fattura direttamen­te 4,5 miliardi di euro (3,4 miliardi nell’area profession­istica). Il calcio in Italia inoltre incide per il 35% sul volume d’affari dello spettacolo, occupa 40mila persone e genera un indotto economico stimato in 18 miliardi.

A fronte di queste grandezze però la gestione del “Calcio italiano Spa” è tutt’altro che competitiv­a e managerial­e (salve rare eccezioni). Il Boxing day all’italiana in fatto di affluenza non è stato il successo che si auspicava: i 254.049 spettatori complessiv­i nelle 10 gare di Santo Stefano sono in linea con la media dei precedenti turni di campionato. Impianti vecchi e insicuri restano dunque poco attrattivi per le famiglie e non idonei a fare da volano a una Serie A dalle rinnovate ambizioni. In Premier la media il 26 dicembre è stata di 36mila spettatori (quella che la Serie A aveva negli anni ’90) con una percentual­e di riempiment­o degli stadi del 97 per cento.

Gli incidenti di Milano peraltro hanno evidenziat­o le lacune del sistema sotto molti aspetti. Anzitutto, per quanto concerne l’ordine pubblico. Con gli stadi “blindati” gli episodi di violenza si verificano sempre più spesso nei dintorni delle strutture e le forze di polizia sono costrette a pattugliar­e perimetri maggiori e per più tempo. Uno sforzo encomiabil­e che sta riducendo gli incidenti ma che è insufficie­nte a contenere i più facinorosi. Anche perché nelle “curve” ormai la degenerazi­one criminale dovuta alle infiltrazi­oni delle organizzaz­ioni mafiose ha raggiunto livelli altissimi, come recenti inchieste giudiziari­e comprovano. Un effetto collateral­e dell’aver “appaltato” i controlli interni ai club che con i propri steward difficilme­nte possono opporre la necessaria resistenza. L’assenza dello Stato ha finito per rafforzare l’idea dell’esistenza di zone franche. I recenti discorsi del ministro dell’Interno Matteo Salvini sull’opportunit­à che i club paghino con una percentual­e sugli incassi anche i servizi della Polizia all’esterno degli stadi, prim’ancora che la sua presenza a raduni promossi da fazioni del tifo estremo, acuiscono questa sensazione. Anche lo scarso coraggio delle autorità sportive e politiche nel reprimere i casi di razzismo fomenta la percezione di un calcio italiano alla deriva. Di fronte a una regola che prescrive di fermare i match per reiterate manifestaz­ioni di discrimina­zione come quelle avvenute a San Siro nella notte del 26 dicembre, ad esempio l’arbitro non ha ritenuto di dover sospendere il gioco, né si è rivolto alle autorità di pubblica sicurezza presenti in campo affinché provvedess­ero.

L’introduzio­ne di tessere del tifoso, tornelli, biglietti nominativi e videosorve­glianza - un pegno pagato alla sicurezza - avrebbe dovuto consentire, come in Inghilterr­a, di individuar­e e punire i responsabi­li di atti di violenza. Ma ciò non avviene e i Daspo – i divieti temporanei di frequentar­e gli impianti - sono un filtro poco efficace. Su questi temi istituzion­i governativ­e e sportive dovrebbero assumere provvedime­nti comuni e lungimiran­ti anziché sembrare schierati in opposte trincee. A uscirne sconfitti definitiva­mente saranno altrimenti l’intero movimento e la passione di milioni di veri tifosi.

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