Social, video, dati e persone I brand si tuffano nella realtà
Autenticità, contemporaneità, esperienza. E impegno sociale, civile e politico. Un viaggio ragionato tra le tendenze che domineranno il prossimo anno
Nell’anno che verrà la nuova immagine dei brand passerà anche per la faccia pulita e vincente di un giovane atleta del nuoto. Si tratta del 24enne tuffatore inglese Tom Daley, già a quindici anni campione del mondo nella piattaforma da dieci metri. Un passato da simbolo della meglio gioventù britannica, con il conseguimento di tre ori mondiali, quattro europei, tre bronzi olimpici. E un futuro addirittura da testimonial della Pampers.
Esattamente cinque anni fa Daley ha fatto coming out, trasformandosi in un’icona gay. Poi nell’estate 2018 è diventato padre di un bambino avuto con la maternità surrogata insieme al compagno Dustin Lance, sceneggiatore americano vent’anni più grande di lui. La coppia è stata scelta per la campagna pubblicitaria dei pannolini più famosi al mondo, ribaltando completamente i codici abituali del marketing. «Per decenni l’immagine classica usata per vendere pannolini e altri articoli per neonati è stata quella della mamma incantata che culla un bambino. Daley come nuovo volto di Pampers va nella giusta direzione per l'uguaglianza», ha argomentato Tom Fordy sul Telegraph.
Non si tratta solo di una campagna per nicchie di pubblici altospendenti. È anche il segno di un cambio di passo: in questi anni connessi per i brand le decisioni assunte pesano come azioni (e soprattutto narrazioni) e veicolano valori e visioni. Così escono allo scoperto per giocare la loro partita su uno scacchiere digitale assai più complesso, nel quale subentrano autenticità, contemporaneità e la necessità di prendere posizione. Perché oggi più che in passato il silenzio non è più un’opzione. Un impegno premiato soprattutto dai millennials: il 58% di loro pensa che sia importante che il brand investa in cause sociali. Addirittura il 93% è disposto ad acquistare da quei brand che antepongono i propri valori al prodotto.
La nuova politica dei brand
L’anno di cesura rispetto al passato è stato senza dubbio quello che va a chiudersi, un 2018 che ha visto le marche impegnate in prima linea per battaglie sociali, civili, politiche. D’altronde è stato l’anno nel quale la Nike ha scelto come testimonial il campione di football americano Colin Kaepernick: due anni prima aveva fatto il giro del mondo la sua protesta silenziosa, quando decise di restare seduto durante l'inno nazionale. Ma questo è stato anche l’anno che ha visto per la prima volta una coalizione di marche schierarsi per favorire il voto alle elezioni americane di mid-term con la campagna Maketimetovote.org. E addirittura Patagonia sostenere con endorsement pubblici due candidati democratici impegnati nella difesa delle foreste. Ci vuole coraggio, con il nuovo Ceo che diventa anche attivista: lo ha messo nero su bianco l’Harvard Business Review ed è quanto si ritrova nella campagna di Airbnb per i rifugiati, nella battaglia contro le armi di Lewis’s, nella denuncia della violenza familiare perpetrata contro le donne promossa da Ikea. In questo caso si entra addirittura in una ricostruzione del conflitto dentro finta mura domestiche collocate nei punti vendita del colosso svedese.
Dati tradotti in emozioni
L’anno che verrà porterà con sé l’analisi di una mole maggiore di dati. Eloquente il titolo scelto dall’Economist: Data Economy. Perché il petrolio del nuovo millennio è nelle tracce digitali che lasciamo. Ma attenzione. «È in atto un matrimonio tra dati e creatività, una serena e pacifica convivenza. Per i brand le campagne punteranno sempre all’originalità, sostenuta come proposta dall’analisi dei dati», afferma Giuseppe Stigliano, docente all'Università Iulm di Milano e co-autore di “Retail 4.0” edito da Mondadori. Una sintesi resa possibile dal digitale, abilitatore invisibile che cambia il nostro modo di agire nella quotidianità. «D’altronde l’esperienza d’acquisto quotidiana si ibrida sempre di più in un’ottica di omnicanalità, con un’interazione tra più punti di contatto», precisa Stigliano.
Rottura della perfezione (social)
Probabilmente l’anno che verrà segnerà tutta un’altra Stories. Una fotografia lontana dai filtri a cui ci ha abituato Instagram. Dopo l’epic fail cinese di Dolce & Gabbana probabilmente si registrerà un effetto domino sulla piattaforma fotografica di casa Zuckerberg, da sempre empatica e relazionale e oggi diventata anche imprevedibile. E potrebbero esserci conseguenze per i brand che finora l’hanno presa d’assalto, perché protetti dalle dinamiche di scontro tipiche di Facebook o Twitter. Così “il social della perfezione”, come lo ha definito il Guardian, probabilmente mostrerà le prime crepe. Un potenziale boomerang per la crescita della piattaforma che registra 25 milioni di brand presenti e 200 milioni di visitatori al giorno su almeno un profilo aziendale, con una media quotidiana di 4,2 miliardi di cuori. «Oggi Instagram pesa notevolmente nella costruzione della narrazione dei tempi e degli spazi delle persone, ma incide anche sulla relazione. E peserà sempre di più nella costruzione delle dinamiche di confronto. La reputazione crolla velocemente, ma Instagram per la sua capacità di costruire una storia correrà ai ripari», afferma Lella Mazzoli, docente all'Università di Urbino. Così per i brand la partita sui social nel 2019 è ancora tutta da giocare.