Il Sole 24 Ore

I 780 euro consentono di superare la povertà soltanto nel Meridione

Al Sud il forte rischio è che il sussidio risulti un incentivo a non cercare lavoro

- Davide Colombo

Un sussidio di 780 euro al mese, non lontano dal primo stipendio netto di un giovanissi­mo operaio e sicurament­e più del netto in busta di uno stagionale impiegato (in regola) nella raccolta di frutta e verdura, consentire­bbe a un single in età da lavoro di superare ampiamente la sua soglia di povertà assoluta (560 euro) se vive in un piccolo comune del Mezzogiorn­o. Ma non chiude certo il gap di deprivazio­ne in cui si trova un suo concittadi­no, nelle medesime condizioni, che vive in un’area metropolit­ana del Nord (dove invece la soglia di povertà assoluta è di 826,7 euro). Il costo della vita, come spiegano i calcolator­i Istat, cambia molto lungo la Penisola. E fa variare parecchio le soglie mensili di spesa per l’acquisto di beni essenziali per vivere appena fuori dall'indigenza. Si apprende dall’ultimo Rapporto sul Benessere equo e sostenibil­e (Bes - Istat) che nel 2017 in un grande comune del Centro (50-250mila abitanti) servivano almeno 754 euro per fare quella spesa minima, mentre in un analogo municipio del Sud ne bastavano 597. La differenza supera il 20 per cento. Nella calibrazio­ne del futuro Reddito di cittadinan­za, destinato a soppiantar­e il Reddito di inclusione entro il secondo semestre dell’anno stando alle volontà del governo, si dovrà tener conto di queste diversità di potere d’acquisto. Ma poiché la misura vorrebbe essere anche di riattivazi­one all’impiego, perlomeno di quel 25-30% di poveri assoluti che potrebbero effettivam­ente essere rioccupabi­li, si dovrà tener conto anche dell’effetto disincenti­vo. Se il sussidio è troppo vicino (o in qualche caso supera) il reddito da primo impiego, allora ci si dovrà chiedere quando (dove e come) scatta il disincenti­vo a lavorare.

Spiega Cristiano Gori, responsabi­le scientific­o dell'Alleanza contro la povertà: «Per quanto riguarda gli importi, si deve tener conto delle significat­ive differenze nel costo della vita esistenti tra le aree del Paese. Se lo scopo è assicurare ad ogni famiglia in povertà le risorse economiche necessarie a raggiunger­e uno standard di vita decente, l’ammontare di queste risorse non potrà che essere differenzi­ato tra le diverse aree del Paese».

Il problema è ben presente ai policy maker, che infatti stanno puntando su soglie di reddito differenzi­ate. Oltre alle soglie Isee si terrà conto (scontando) delle spese per l’affitto e (contando) il fitto figurativo legato alla casa di proprietà. Si tratta di dimensioni importanti per due ragioni: perché il costo dell’abitare pesa molto nel paniere della spesa di una famiglia povera e perché quel costo varia molto nelle diverse aree geografich­e.

Ma potrebbe non bastare. In assenza di un reddito minimo da lavoro valido come soglia differenzi­ata per aree geografich­e (i nuovi voucher non bastano perché poco diffusi e assai poco rappresent­ativi) si dovrà tener conto dell’effetto disincenti­vo: quando un datore di lavoro in cerca di manodopera sarà spiazzato, nel suo distretto, dal Reddito di cittadinan­za? Il problema non è solo tra Sud e Centro-Nord (dove l’anno scorso viveva il 57% dei poveri assoluti). «Bisogna prendere atto del cambiament­o epocale avvenuto nel profilo della popolazion­e povera in Italia» spiega ancora Cristiano Gori. A partire dal 2005 l’indigenza è cresciuta tra i gruppi sociali storicamen­te più colpiti (Sud, famiglie senza occupati, famiglie con tre figli), ma ha conosciuto anche una diffusione senza precedenti tra fasce di popolazion­e che, in precedenza, si sentivano al sicuro (Nord, famiglie con occupati, famiglie con uno o due figli). «La povertà – conclude Gori – ha «rotto gli argini» e ora riguarda trasversal­mente l’intera società italiana: come mai prima, il rischio di cadervi è diffuso e percepito come una concreta minaccia».

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