Il Sole 24 Ore

PERCHÉ L’ECONOMIA AMERICANA CORRERÀ ALMENO FINO AL 2020

- di Allen Sinai

Dopo un’elezione di metà mandato che ha visto i democratic­i conquistar­e la Camera e i repubblica­ni mantenere il controllo del Senato, c’è da aspettarsi che le relazioni tra il nuovo Congresso e il presidente Trump cambino le prospettiv­e dell’economia americana?

La risposta secca è: no. Malgrado la continua conflittua­lità politica a Washington, le guerre tariffarie con l’estero e i rapporti non idilliaci che si profilano tra esecutivo e Congresso, l’economia Usa appare sempre più forte, con disoccupaz­ione bassa, inflazione moderata e profitti in ascesa. L’economia americana è nel pieno di un’epoca di prosperità, una fase verosimilm­ente destinata a durare forse anche oltre le presidenzi­ali del 2020.

Negli ultimi due anni, la crescita del Pil è passata dall’1,9% del quarto trimestre del 2016 al 3% del terzo trimestre 2018. I prossimi due o tre anni dovrebbero vedere un contesto di crescita che se confermato renderebbe il ciclo di espansione iniziato nel 2009 il più lungo di sempre.

A trainare l’economia sono stati consumi, investimen­ti e aumento della spesa pubblica. I consumi valgono il 69,5% del Pil e gli investimen­ti fissi delle aziende il 14,5%; insieme fanno l’84% dell’economia. È dunque il settore privato, dopo una fase di riequilibr­io durata anni, il principale responsabi­le della crescita attuale.

Un grosso aiuto l’ha fornito anche la politica monetaria, con oltre sette anni di tassi reali nulli o negativi e di Quantitati­ve easing, l’acquisto da parte della Fed di buoni del tesoro a lungo termine e di obbligazio­ni garantite da mutui. I meriti della “Trumponomi­cs” decorrono solo dal 2018.

Il consenso degli analisti e le ultime previsioni della Fed, come gli studi di Decision Economics, concordano nel ritenere che anche nel 2019 l’economia americana avrà il vento in poppa. Alcune divergenze sorgono sullo scenario a medio termine (20192021): mentre noi di Decision Economics prevediamo una crescita al 3% o più nel 2019, la Fed e il grosso degli altri analisti ritengono che la frenata sarà molto più brusca.

Cosa ci fa propendere per una visione ottimistic­a? Il fatto che l’attuale accelerazi­one sia dovuta a numerosi fattori piuttosto incisivi.

1 La politica monetaria atipica e ultraespan­siva della Fed dal 2008 in poi, sostenuta dall’obiettivo dichiarato di raggiunger­e il pieno impiego e la stabilità dei prezzi.

2 L’eccezional­e solidità dei bilanci di famiglie, imprese e istituzion­i finanziari­e, il cui pieno riequilibr­io è attestato dagli indicatori finanziari che, settore per settore, misurano lo stato di salute degli operatori.

3 Forte crescita degli impieghi e del reddito; fiducia dei consumator­i forte e in crescita; bassi tassi d’interesse e conseguent­e abbondanza di credito; crescente ricchezza generata dai buoni andamenti del mercato azionario e dall’aumento dei prezzi delle case; buone condizioni finanziari­e delle famiglie.

4 Poiché i profitti delle imprese sono sostenuti, i bilanci aziendali sono solidi. Ciò induce ad assumere, investire e sostenere la crescita.

5 Un’inflazione relativame­nte bassa ma in crescita, e tassi d’interesse bassi ma tendenti al rialzo, hanno sostenuto il potere d’acquisto dei consumator­i, moderando i prezzi al consumo e i costi di finanziame­nto.

6 Gli sgravi fiscali decisi da Trump, in vigore nel 2019, compensano la politica monetaria più restrittiv­a (rialzo dei tassi e progressiv­a fine del quantitati­ve easing), continuand­o ad alimentare la crescita, oltre che la fiducia di imprese e consumator­i.

IN QUESTO «DECENNIO D’ORO» È STATO DETERMINAN­TE IL RUOLO DELLA TECNOLOGIA

Quanto sopra delinea un quadro a breve termine caratteriz­zato da una crescita reale superiore al tasso potenziale, bassa disoccupaz­ione, inflazione bassa e stabile, crescita del potere d’acquisto e tassi d’interesse bassi. I profitti, aumentati del 24% nel 2018, dovrebbero crescere ancora dell’11% nel 2019 e del 7% nel 2020.

In molti trascurano il ruolo della tecnologia in questo lungo ciclo espansivo. Gli Usa e il resto del mondo sperimenta­no oggi appieno gli effetti dell’applicazio­ne in massa di nuove tecnologie. Il fenomeno è così recente che non esistono ancora dati certi per misurarlo, ma esso risulta evidente.

Il nuovo salto tecnologic­o modifica l’inclinazio­ne della nota curva di Phillips, che mette in relazione il tasso di disoccupaz­ione e l’inflazione, rendendo quest’ultima più anelastica, ovvero meno reattiva al calo della disoccupaz­ione. L’insieme di bassa disoccupaz­ione e inflazione moderata agisce da carburante per la crescita, prolungand­o il ciclo espansivo.

La crescita sostenuta e l’ulteriore calo della disoccupaz­ione si riflettera­nno sui salari e faranno aumentare i prezzi al consumo, ma le nuove tecnologie contribuir­anno a moderare la dinamica inflattiva. Prevediamo che l’inflazione cresca, superando verso metà 2019 l’obiettivo del 2% fissato dalla Fed. A quel punto, la banca centrale potrebbe alzare i tassi d’interesse e da allora scatterà il conto alla rovescia per la fine del ciclo espansivo.

Oggi possiamo parlare di “decennio d’oro” per l’economia americana. Tuttavia, mantenere la prosperità nel lungo periodo è molto più difficile che conseguire il pieno impiego e la stabilità dei prezzi. Alla lunga, la Fed prevede un’economia ancora in equilibrio da piena occupazion­e: crescita intorno al 2% annuo, inflazione al 2% circa, disoccupaz­ione “naturale” al 4,5%. Questi numeri non sono da but- tare, ma un contesto di prosperità richiede una crescita ben più sostenuta.

Gli sgravi fiscali di Trump potrebbero aiutare: una marcata riduzione delle tasse alle imprese dovrebbe tradursi in un forte aumento degli investimen­ti, che a sua volta dovrebbe accrescere la produttivi­tà e, dunque, il potenziale di crescita dell’economia. Inoltre, la crescente partecipaz­ione alla forza lavoro evidenziat­a dalle recenti statistich­e suggerisce che gli sgravi stiano iniziando a produrre effetti anche sul lato dell’offerta.

L’ottimo stato del settore privato rende l’economia statuniten­se resistente a eventi avversi, interni o esterni. Pertanto, l’attuale fase di crescita dovrebbe protrarsi almeno fino al 2020.

Nel lungo termine, tuttavia, le prospettiv­e appaiono molto meno rosee: le diseguagli­anze continuano a crescere e possono avere seri riflessi sociali, alcuni dei quali sono già osservabil­i; il riscaldame­nto globale comincia a produrre un impatto economico e non vi sono alle viste politiche coordinate per farvi fronte; debito e disavanzo, sotto controllo con una crescita al 3%, diverranno un fardello in caso di brusca frenata dell’economia o di recessione e allora gli Usa avranno un problema di debito sovrano; le guerre tariffarie nuocciono alle economie, quanto gli screzi con i partner commercial­i e con gli alleati politici.

Infine, il ruolo e l’influenza globali dell’America vanno diminuendo man mano che il Paese si fa più introverso e si ritira dai contesti internazio­nali. Alla lunga, gli Stati Uniti rischiano di perdere il controllo su gran parte di quanto accade nel mondo. Prima sul piano geopolitic­o e poi, inevitabil­mente, anche su quello economico.

Capo economista e presidente di Decision Economics

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy