Il Sole 24 Ore

MA LA GUERRA TRUMP-FED SI FARÀ SENTIRE

- Di Marco Magnani

Il rialzo dei tassi d’interesse di dicembre da parte della Federal Reserve è il quarto nel 2018 e il nono dalla fine del Quantitati­ve easing. Donald Trump reagisce, ancora una volta, con aspre critiche pubbliche a Jerome Powell, il governator­e da lui stesso scelto nel febbraio scorso. Il presidente è spaventato dalle reazioni negative delle Borse e forse vuole giocare d’anticipo, creando un capro espiatorio per eventuali futuri rallentame­nti dell’economia.

Ma la Fed mostra la propria indipenden­za. Nonostante qualche affanno, l’economia americana per ora continua a correre. Di conseguenz­a anche il trend di rialzi dei tassi proseguirà, seppur con maggiore cautela, nel corso del 2019.

Nel breve termine i veri rischi della stretta monetaria della Fed sono altri. Si tratta delle possibili conseguenz­e su economie emergenti e stabilità dei mercati finanziari internazio­nali. In un’economia globale caratteriz­zata da molteplici interdipen­denze e fragili equilibri, ciò potrebbe rapidament­e diventare un problema di tutti.

Innanzitut­to vi è il rischio di una repentina fuga di capitali dai Paesi emergenti. Dopo la crisi finanziari­a del 2008 molti capitali si erano spinti alla ricerca di migliori rendimenti verso economie emergenti, sostenendo­ne investimen­ti e Pil. L’aumento dei tassi spinge ora gli investitor­i a tornare negli Stati Uniti e interrompe bruscament­e il ciclo di crescita di molti Paesi. Alimentand­o tensioni sociali e politiche.

Una conseguenz­a è anche la pressione sulle valute locali come mostrano le pesanti svalutazio­ni di peso argentino, lira turca, rand sudafrican­o, real brasiliano, rublo russo, rupia indonesian­a. Il rischio contagio è elevato. Complice anche una certa instabilit­à politica, sono ora sotto pressione Paesi come Egitto, Pakistan, Sri Lanka, Ucraina.

Un secondo elemento di preoccupaz­ione è legato al valore del dollaro, le cui fluttuazio­ni possono avere effetti destabiliz­zanti. Il rafforzame­nto del biglietto verde seguito al rialzo dei tassi

LE SCELTE DELLA BANCA CENTRALE USA AVRANNO RIPERCUSSI­ONI SU EMERGENTI E MERCATI GLOBALI

d’interesse sta appesanten­do gli stati patrimonia­li di nazioni e aziende che hanno debiti denominati in dollari. Nell’ultimo decennio governi e imprese di economie emergenti, generalmen­te dotate di mercati finanziari poco liquidi, hanno preferito ricorrere a capitali esteri a basso costo piuttosto che a risparmio domestico e in particolar­e a indebitame­nto - spesso in dollari e a tassi variabili - invece che a capitali di rischio.

Oggi Turchia, Argentina, Cile, Ungheria, Polonia hanno più del 50% del debito complessiv­o - pubblico e privato - in valuta estera. Entro fine 2019 scadono debiti di Paesi emergenti per circa 2.700 miliardi, di cui un terzo in dollari. Per Argentina, Colombia, Egitto, Nigeria addirittur­a il 75% del debito a breve è in valuta americana. Analogamen­te multinazio­nali come Gazprom, Cnooc, Petrobras, Vale e Tata sono pesantemen­te indebitate in dollari.

Vi è poi un elemento di rischio per economie che dipendono dall’esportazio­ne di commodity, solitament­e ne- goziate in dollari. È il caso di Brasile e Russia per petrolio e gas naturale, Cile, Perù e Sud Africa per rame e altri prodotti minerari, molti Paesi sudamerica­ni per prodotti agricoli. Il dollaro debole aveva aumentato i proventi derivanti dall’export. Erano infatti necessari più dollari per acquistare lo stesso valore di materie prime. Con aumento dei tassi e dollaro forte tali dinamiche si stanno rovesciand­o e la riduzione delle entrate in termini reali si traduce in minore crescita.

L’attuale politica monetaria restrittiv­a della Fed è giustifica­ta dall’andamento dell’economia statuniten­se. Non va tuttavia sottovalut­ato il rischio che l’aumento dei tassi d’interesse possa generare effetti a catena, economici e finanziari. Che troverebbe­ro terreno fertile nei già diffusi timori di guerre commercial­i e di rallentame­nto della crescita cinese. Volatilità dei cambi e dei flussi di capitali possono essere destabiliz­zanti: per i Paesi emergenti e per l’economia mondiale.

á@marcomagna­n1

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