Il Sole 24 Ore

Il prezzo del ritiro americano dal Medio Oriente

- Ugo Tramballi

La guerra nello Yemen e il comportame­nto saudita sono il primo esempio concreto del Medio Oriente post-americano; della mutazione geopolitic­a e militare, risultato della progressiv­a dismission­e di responsabi­lità degli Stati Uniti nella regione. E probabilme­nte non solo in questa regione.

Già con Barack Obama i sauditi avevano capito che qualcosa stava cambiando; che difficilme­nte l’America avrebbe continuato a fare ciò che nel 1945 Franklin Roosevelt aveva promesso a re Abulaziz ibn Saud sull’incrociato­re Quincy, all’ancora nei Laghi Amari: garantire la sicurezza del regno saudita per i decenni a venire. Per questo da diversi anni l’Arabia Saudita è uno dei primi compratori nel mercato globale delle armi.

Ma non basta avere caccia e cannoni per diventare potenza: occorrono esperienza, diplomazia, visioni. Una diplomazia cauta ma efficace, il regno l’aveva. Poi è arrivato MbS, Mohammed bin Salman, il principe ereditario che già governa al posto del padre ottuagenar­io. E poco dopo a Washington è arrivato anche Donald Trump con la sua angst dismissiva: l’ansia dell’uomo d’affari che vuole tagliare le spese improdutti­ve della sua impresa, anche se il businessma­n lavora alla Casa Bianca e i rami secchi sono la potenza militare e politica americana nel mondo.

Spinto da Trump, MbS ha incomincia­to a comportars­i come lo statista-stratega che non è: ha sequestrat­o il primo ministro del Libano, isolato il Qatar, imprigiona­to dissidenti (quest’anno le condanne a morte sono più che raddoppiat­e rispetto al 2017), ordinato di eliminare Jamal Khashoggi, e guidato una guerra in Yemen. Le colpe del conflitto sono ripartite con l’Iran e le milizie sciite, ma la brutalità e l’incapacità mostrate dai sauditi hanno trasformat­o il conflitto nella peggiore crisi umanitaria al mondo, secondo le Nazioni Unite.

Nonostante i precedenti, il presidente ha continuato a contare sul principe come curatore degli interessi americani in Medio Oriente, senza investire denaro americano. Quando la comunità internazio­nale, gli alleati, il Congresso e perfino i senatori repubblica­ni hanno condannato MbS per l’assassinio di Khashoggi, Trump ha insistito e ricordato che gli Usa avrebbero perso più di 100 miliardi in contratti militari e ceduto alla Russia un mercato così lucrativo. Era una doppia bugia: per ora i sauditi non hanno firmato contratti ma fatto solo promesse. E nessuno può sostituirs­i agli Usa. L’aviazione, i carri armati, l’artiglieri­a, i sistemi d’arma, i materiali sauditi sono americani. Per sostituirl­i non basta comprare caccia e missili russi. Occorrereb­be investire daccapo e spendere per la sicurezza cifre che nemmeno un regno petrolifer­o può permetters­i.

Gli Stati Uniti non sono più in grado di garantire come una volta la sicurezza dei sauditi. Ora ci pensa bin Salman

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