Il Sole 24 Ore

Il dicembre pazzo dei listini Nuovi forti sbalzi a Wall Street

Il motivo scatenante è legato ai timori sulla crescita economica degli Stati Uniti A moltiplica­re le oscillazio­ni sono algoritmi, robot e (nel rimbalzo) i fondi pensione

- Morya Longo

Scordatevi i fondamenta­li economici. O la battaglia politica negli Stati Uniti. Dimenticat­e la guerra commercial­e tra Usa e Cina. Questi sono solo i pretesti. Le paure di fondo. Quanto sta accadendo a Wall Street e nelle Borse di tutto il mondo ha motivazion­i più profonde, che vanno cercate nella struttura stessa dei mercati finanziari: nei loro meccanismi automatici, nei loro tecnicismi, nelle regole degli investitor­i. Cercare di spiegare con la razionalit­à, guardando solo l’economia, il motivo per cui Wall Street mercoledì ha registrato il balzo record del 5% e ieri è tornata instabile (il ribasso dai massimi dell’anno resta a -17%) sarebbe fuorviante. E lo stesso vale per quei -2,37% di Francofort­e e -1,81% di Milano, che ieri hanno portato a -24% e -26% il passivo dai massimi dell’anno. La politica, l’economia, gli squilibri globali contano, certo. Ma l’ampiezza di questi movimenti ha cause più complesse. E per certi versi più preoccupan­ti.

Il sottofondo economico

Il mercato guarda con apprension­e l’andamento dell’economia Usa e mondiale, temendo un rallentame­nto dopo anni di crescita. Questo è innegabile. Tutti gli ultimi dati economici in effetti indicano che la corsa è finita. Ieri l’indice di fiducia dei consumator­i Usa è sceso di 8,3 punti, segnando il calo mensile maggiore dal 2015. Questo pesa sulle Borse. E ora che le banche centrali tirano il freno dell’espansione monetaria, i timori aumentano. In questo contesto le battaglie politiche negli Usa, le tensioni Cina-Usa, Brexit, il caso italiano e la geopolitic­a non aiutano a stemperare le tensioni. Anzi, aumentano l’incertezza e le paure.

Eppure questi temi non sono nuovi. Come il rallentame­nto economico: se ne parla da mesi, ma ancora oggi sono pochissimi gli investitor­i che ritengono probabile una recessione nel 2019. Solo il 9% di loro, secondo un sondaggio di Bank of America. Non solo: la maggior parte degli analisti ritiene che Wall Street non sia sopravvalu­tata affatto. Citigroup - per fare un solo esempio - ha elaborato un indicatore per anticipare i possibili ribassi di Borsa, guardando 18 parametri. Ebbene: attualment­e solo 3,5 parametri giustifich­erebbero ribassi in Borsa, contro i 17,5 del marzo 2000 e i 13 dell’ottobre 2007 all’alba delle passate crisi. Sebbene l’incertezza sia elevata, non si respira dunque tra gli investitor­i un allarme sufficient­e da giustifica­re tali collassi in Borsa e tali rimbalzi. Infatti, come detto, ci sono altri motivi.

Automatism­i boomerang

Tutto parte da un parametro fondamenta­le: la volatilità. L’incertezza causata dai motivi “reali” l’ha infatti aumentata negli ultimi mesi: l’indice Vix (che la misura) è infatti salito fino a 36%, cioè fino al massimo da febbraio quando ci fu un altro crollo a Wall Street. Ed è questa probabilme­nte la chiave per capire le oscillazio­ni delle Borse: esistono fondi (con 1.500 miliardi di dollari in gestione in totale) che usano proprio la volatilità come parametro diretto o indiretto per misurare i rischi di mercato. Se la volatilità supera certi limiti, questi investitor­i sono dunque costretti a vendere. Lo fanno in maniera automatica. Così parte la valanga ribassista: le vendite aumentano la volatilità e la volatilità fa scattare altre vendite automatich­e. È vero che molti investitor­i, scommetten­do sulla volatilità stessa, guadagnano dalle oscillazio­ni dei mercati. Ma altri, come detto, sono costretti a vendere.

Per capire quanto gli automatism­i non “umani” siano importanti per spiegare gli andamenti delle Borse, basta un dato di JP Morgan: circa l’85% dei volumi di Borsa è prodotto da investitor­i che usano algoritmi, modellini o comunque strategie automatizz­ate che non hanno un legame con i fondamenta­li economici.

Gli automatism­i funzionano però in entrambi i versi. Ecco perché mercoledì, tutto d’un colpo, la Borsa Usa si è impennata con un rialzo record. In quel caso sono “scattati” i fondi pensione: i forti ribassi delle Borse hanno infatti sotto-esposto il loro portafogli­o sull’azionario e l’hanno sovraespos­to sull’obbligazio­nario. In vista della fine dell’anno, hanno dunque dovuto realizzare un mega aggiustame­nto dei portafogli, comprando azioni. Wells Fargo stima che solo per chiudere il gap dei portafogli, i fondi pensione Usa avrebbero dovuto comprare azioni Usa per 64 miliardi di dollari. Altri arrivano a stimarne 100. Questo ha probabilme­nte prodotto lo spettacola­re rimbalzo di mercoledì. Con la speculazio­ne che, come sempre, si accoda. E la bassa liquidità, tipica dei periodi festivi, a rendere tutto più scoppietta­nte. Ieri, poi, la pressione ribassista è tornata a dominare.

Profezie autoavvera­nti

I ribassi dei listini sono dunque giustifica­ti dai timori di rallentame­nto economico, ma probabilme­nte non in questa entità: le violente oscillazio­ni sono amplificat­e da meccanismi che con l’economia nulla hanno a che fare. Purtroppo però, se la tempesta di Borsa dovesse continuare, potrebbe a sua volta avere un’influenza negativa sull’economia: perché pesa sulla fiducia e sulle aziende. Basti pensare che la turbolenza, negli Usa, è altrettant­o forte sul mercato dei corporate bond dove le imprese si finanziano. Questo, forse, sarà un tema nel 2019.

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(*) dato aggiornato alle ore 18.00

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