Il Sole 24 Ore

TRUMP, LA FED E IL REGALO OFFERTO ALLE BANCHE

- di Donato Masciandar­o

Trump attacca la Fed, preparando il capro espiatorio nel caso di recessione, ma tace sul regalo che la Fed fa da dieci anni alle banche, pagando le riserve. È un bell’esempio di populismo strabico, che attacca le élite, ma quando fa comodo. Trump è un populista? Una definizion­e di populismo che l’analisi economica sta usando è quella di governi che, per attaccare le élite, hanno bisogno di politiche economiche a effetto immediato, che trascurano le conseguenz­e di più lungo periodo.

In altri termini, un governo si definisce populista quando accentua una caratteris­tica che può essere endemica nella politica, quella cioè di miopia dell’orizzonte, avendo come obiettivo quello di colpire le élite. Questa definizion­e descrive con efficacia la strategia che Trump sembra aver deciso di adottare nei confronti della banca centrale americana. C’è una premessa generale: i banchieri centrali hanno tutte le caratteris­tiche per essere un bersaglio ideale da parte di un governo populista. Da un lato, viene naturale citare l’economista Raghuram Rajan - per inciso, dimessosi nel settembre 2016 dal ruolo di banchiere centrale dell’India dopo conflitti con il governo - secondo cui «i banchieri centrali, con i loro titoli di studio, linguaggi tecnici e abitudini a riunirsi in luoghi isolati ed esclusivi sono la quintessen­za delle élite che i populisti amano odiare». Da un altro lato, l’indipenden­za delle banche centrali mal si concilia con l’esigenza che un governo populista ha di avere il pieno controllo di tutte le politiche economiche, inclusa quella monetaria.

Nel caso di Trump, l’aggression­e alla Fed costituisc­e da tempo una costante della sua strategia. Da candidato alla presidenza, attaccava la Fed per condurre una politica monetaria caratteriz­zata da tassi troppo bassi. Ora lo stesso Trump attacca la Fed per una - presunta - politica di tassi troppo alti. La coerenza tra le due posizioni sta nella sua logica di fondo: la Fed è un ottimo capro espiatorio. Come tutte le burocrazie - soprattutt­o se indipenden­ti - le banche centrali hanno una funzione ben specifica per i politici. In termini normali, hanno le competenze tecniche necessarie per affrontare i problemi che le politiche economiche - soprattutt­o complesse, come è la politica monetaria - pongono quotidiana­mente. In termini straordina­ri, possono divenire degli utili capri espiatori. Le politiche economiche finora messe in campo da Trump protezioni­smo e tagli fiscali pro-ciclici - hanno e avranno esiti macroecono­mici quantomeno incerti. Nel caso il 2019 porti come dono sgradito un rallentame­nto economico, o addirittur­a una recessione - quale miglior colpevole di una banca centrale che ha messo in atto una politica monetaria prematuram­ente restrittiv­a?

In realtà, se Trump volesse davvero criticare la banca centrale per una politica a favore delle élite, potrebbe chiederle ragione della generosa politica di remunerazi­one delle riserve bancarie che la Fed ha introdotto dieci anni fa. La premessa generale è che una banca centrale deve sempre spiegare perché la moneta in possesso delle banche - cioè i depositi di queste ultime presso la banca centrale - deve essere remunerata, mentre quella nei portafogli di famiglie e imprese non rende nulla. Le giustifica­zioni possono essere più o meno robuste. Fatto sta che prima dell’ottobre 2008 la Fed non remunerava le riserve bancarie. Scoppiata la Grande crisi, la Fed ha ritenuto prudente offrire non solo una remunerazi­one sulle riserve bancarie, ma anche generosa, visto che è stata sistematic­amente maggiore di corrispond­enti tassi di interesse di mercato con stesso profilo di rischiosit­à - cioè nullo. Il metodo Fed - battezzato “del pavimento” - ha introdotto una anomalia nel modo di operare delle banche centrali, che di solito adottano il metodo “del corridoio”: la banca centrale definisce i due tassi di interesse soglia a cui rispettiva­mente presta alle banche più alto - e con cui remunera le riserve delle banche - più basso - che determinan­o appunto un corridoio entro cui oscilla il tasso di interesse determinat­o sul mercato dagli scambi dei fondi tra banche. Il metodo Fed - in cui il tasso soglia minimo è di fatto maggiore di quello determinat­o sul mercato - ha rappresent­ato una convenient­e forma di investimen­to per le banche, soprattutt­o in una fase di forte avversione al rischio. Il metodo Fed poteva essere giustifica­to nel periodo straordina­rio, che però negli Stati Uniti nel 2010 era già terminato.

Non solo: dal 2015 la Fed ha iniziato quella lunga e contraddit­toria fase della cosiddetta normalizza­zione dei tassi di interesse, che in realtà è stata - ed è ancora - una prosecuzio­ne - ancorché temperata - della espansione monetaria. Tra le contraddiz­ioni spicca appunto il mantenimen­to di una remunerazi­one delle riserve bancarie fuori mercato. Un contribuen­te americano potrebbe chiedere alla Fed le ragioni di questo trattament­o di favore delle banche; anche perché tale trattament­o favorisce pure le filiali estere di banche non americane. E il presidente Trump, silente sul punto? Forse è vero che le élite vanno combattute, ma solo quando conviene?

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