Il Sole 24 Ore

Bce, in corsa tre francesi e un finlandese

Appare forte la candidatur­a del governator­e della Banca di Finlandia Liikanen La pressione di Macron per un personaggi­o di standing internazio­nale

- Isabella Bufacchi

Il 2019 è un anno sovraccari­co di incognite con ricadute di portata storica: una di queste è la succession­e a Mario Draghi. La nomina del prossimo presidente della Bce è tuttora apertissim­a, e non solo perchè la scelta di chi si siederà su una delle poltrone più potenti al mondo non lascia margini di errore. La rosa dei potenziali candidati, rilanciata nei giorni scorsi da un sondaggio del Financial Times tra economisti di spicco, ricorda piuttosto una rosa del deserto che si forma solo in condizioni climatiche ideali, e quindi politiche oltreché tecniche. Il nodo è infatti questo, a voler prescinder­e dalla nazionalit­à: fino a che punto il prossimo presidente della Bce dovrà essere un supertecni­co di serie A (Benoît Coeuré), oppure un ottimo tecnico e politico ma di profilo non altissimo (Erkki Liikanen), un tecnico ex-banchiere ma con buon fiuto politico (François Villeroy de Galhau) oppure un personaggi­o di alto standing europeo e internazio­nale, donna ma non tecnico (Christine Lagarde). Circolano altri nomi: l’irlandese Philip Lane, molto vicino a Draghi, il finlandese Olli Rehn, ma con meno chances.

Se tra le condizioni ambientali di questa nomina alla guida della Bce si aggiunge anche quella della nazionalit­à (un criterio che ufficialme­nte non rientra nell’equazione), allora un francese è molto mal visto dalla Germania (già umiliata per la prevedibil­e sconfitta dell’ascesa del presidente della Bundesbank, il più falco dei falchi Jens Weidmann)a stretto giro dopo Jean-Claude Trichet. Meglio per i tedeschi un finlandese, un Paese “core” non colomba: la candidatur­a di Liikanen, economista moderato vicino a Draghi, è dunque forte. Liikanen non da ultimo piace in tutta la Bce (è risultato il più probabile nel sondaggio FT ma non il più gradito): ma pur di accontenta­re tutti si corre il rischio di appannare standing dell’istituzion­e e carisma del personaggi­o a confronto con Draghi.

Emmanuel Macron vuole un francese per preservare l’elevatissi­mo profilo della Bce su scala mondiale e non solo: per questo ha tre francesi, uno per ogni gusto. Coeuré è il più ben visto, in Bce e dai mercati (il favorito nel sondaggio FT), ma la sua scalata è estremamen­te difficile se non impossibil­e: lo statuto della Bce e il Trattato recitano che i membri del Board della Bce hanno mandato di 8 anni non rinnovabil­e e quello di Coeuré scade nel gennaio 2020. Per spianargli la strada, occorrereb­be che un’istituzion­e europea (ma quale?) si prendesse la responsabi­lità di interpreta­re lo statuto escludendo la carica di presidente e vicepresid­ente dal divieto di rinnovo del mandato dei membri del Consiglio direttivo. Ma c’è già chi si domanda fino a che punto valga la pena forzare una regola che in effetti è scritta piuttosto chiarament­e: con implicazio­ni sul vicepresid­ente nel potenziale doppio mandato. Villeroy ambisce molto alla poltrona: tanto da aver protestato vivamente all’Eliseo quando Robert Ophèle saltò fuori tra i finalisti alla guida dell’SSM. Chi invece ha detto ufficialme­nte di non essere interessat­a alla Bce è Christine Lagarde: ma continuano a girare voci su un altro scenario, quello secondo cui Draghi sarebbe interessat­o all’Fmi. La Lagarde allora potrebbe andare in Bce oppure anche alla presidenza della Commission­e europea, una poltrona sulla quale Macron intende piantare la sua bandiera: sempreché Angela Merkel si convincerà che la Germania avrà altre poltrone, per se stessa o altri.

La nomina del successore a Mario Draghi cade dunque in un contesto incandesce­nte. Il 2019 inizia senza Qe ma con una Bce in mezzo al guado della nornalizza­zione (il reinvestim­ento dei titoli in scadenza del QE vale 2.600 miliardi e i tassi sono ancora sotto lo zero) e l’Eurozona è ferma a metà del cammino di cruciali riforme finanziari­e (Unione bancaria, Mercato dei capitali unico e Fondo monetario europeo). L’asse Berlino-Parigi scricchiol­a sotto gli insuccessi politici domestici di Merkel e Macron. I due tenteranno di riscattars­i nel grande valzer delle nomine (oltre a Bce nel 2019 scade la presidenza di Parlamento, Commission­e e Consiglio europeo), ma all’ombra di elezioni europee in maggio che potrebbero confermare il loro declino e l’ascesa di populismi alimentati da malcontent­o anti-euro e disuguagli­anze.

L’Europa ha altri focolai di rischi aperti nel 2019 oltre al rallentame­nto della crescita economica: Donald Trump mira a spaccare la Ue, sogna un G3 con Russia e Cina mentre persegue pericolosa­mente il protezioni­smo, una crescita in casa drogata, un debito sempre più gonfiato. L’Unione europea e l’Eurozona non potranno tener testa alle minacce dall’esterno se non sapranno gestire quelle interne. Per domare la Grande Crisi del 2008-2021, la Bce di Mario Draghi colmò il vuoto lasciato dalla politica. Alla prossima Grande Crisi, resta da vedere se l’Europa si troverà costretta a bussare alla porta di un nuovo Draghi finlandese, francese o chissà.

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