Bce, in corsa tre francesi e un finlandese
Appare forte la candidatura del governatore della Banca di Finlandia Liikanen La pressione di Macron per un personaggio di standing internazionale
Il 2019 è un anno sovraccarico di incognite con ricadute di portata storica: una di queste è la successione a Mario Draghi. La nomina del prossimo presidente della Bce è tuttora apertissima, e non solo perchè la scelta di chi si siederà su una delle poltrone più potenti al mondo non lascia margini di errore. La rosa dei potenziali candidati, rilanciata nei giorni scorsi da un sondaggio del Financial Times tra economisti di spicco, ricorda piuttosto una rosa del deserto che si forma solo in condizioni climatiche ideali, e quindi politiche oltreché tecniche. Il nodo è infatti questo, a voler prescindere dalla nazionalità: fino a che punto il prossimo presidente della Bce dovrà essere un supertecnico di serie A (Benoît Coeuré), oppure un ottimo tecnico e politico ma di profilo non altissimo (Erkki Liikanen), un tecnico ex-banchiere ma con buon fiuto politico (François Villeroy de Galhau) oppure un personaggio di alto standing europeo e internazionale, donna ma non tecnico (Christine Lagarde). Circolano altri nomi: l’irlandese Philip Lane, molto vicino a Draghi, il finlandese Olli Rehn, ma con meno chances.
Se tra le condizioni ambientali di questa nomina alla guida della Bce si aggiunge anche quella della nazionalità (un criterio che ufficialmente non rientra nell’equazione), allora un francese è molto mal visto dalla Germania (già umiliata per la prevedibile sconfitta dell’ascesa del presidente della Bundesbank, il più falco dei falchi Jens Weidmann)a stretto giro dopo Jean-Claude Trichet. Meglio per i tedeschi un finlandese, un Paese “core” non colomba: la candidatura di Liikanen, economista moderato vicino a Draghi, è dunque forte. Liikanen non da ultimo piace in tutta la Bce (è risultato il più probabile nel sondaggio FT ma non il più gradito): ma pur di accontentare tutti si corre il rischio di appannare standing dell’istituzione e carisma del personaggio a confronto con Draghi.
Emmanuel Macron vuole un francese per preservare l’elevatissimo profilo della Bce su scala mondiale e non solo: per questo ha tre francesi, uno per ogni gusto. Coeuré è il più ben visto, in Bce e dai mercati (il favorito nel sondaggio FT), ma la sua scalata è estremamente difficile se non impossibile: lo statuto della Bce e il Trattato recitano che i membri del Board della Bce hanno mandato di 8 anni non rinnovabile e quello di Coeuré scade nel gennaio 2020. Per spianargli la strada, occorrerebbe che un’istituzione europea (ma quale?) si prendesse la responsabilità di interpretare lo statuto escludendo la carica di presidente e vicepresidente dal divieto di rinnovo del mandato dei membri del Consiglio direttivo. Ma c’è già chi si domanda fino a che punto valga la pena forzare una regola che in effetti è scritta piuttosto chiaramente: con implicazioni sul vicepresidente nel potenziale doppio mandato. Villeroy ambisce molto alla poltrona: tanto da aver protestato vivamente all’Eliseo quando Robert Ophèle saltò fuori tra i finalisti alla guida dell’SSM. Chi invece ha detto ufficialmente di non essere interessata alla Bce è Christine Lagarde: ma continuano a girare voci su un altro scenario, quello secondo cui Draghi sarebbe interessato all’Fmi. La Lagarde allora potrebbe andare in Bce oppure anche alla presidenza della Commissione europea, una poltrona sulla quale Macron intende piantare la sua bandiera: sempreché Angela Merkel si convincerà che la Germania avrà altre poltrone, per se stessa o altri.
La nomina del successore a Mario Draghi cade dunque in un contesto incandescente. Il 2019 inizia senza Qe ma con una Bce in mezzo al guado della nornalizzazione (il reinvestimento dei titoli in scadenza del QE vale 2.600 miliardi e i tassi sono ancora sotto lo zero) e l’Eurozona è ferma a metà del cammino di cruciali riforme finanziarie (Unione bancaria, Mercato dei capitali unico e Fondo monetario europeo). L’asse Berlino-Parigi scricchiola sotto gli insuccessi politici domestici di Merkel e Macron. I due tenteranno di riscattarsi nel grande valzer delle nomine (oltre a Bce nel 2019 scade la presidenza di Parlamento, Commissione e Consiglio europeo), ma all’ombra di elezioni europee in maggio che potrebbero confermare il loro declino e l’ascesa di populismi alimentati da malcontento anti-euro e disuguaglianze.
L’Europa ha altri focolai di rischi aperti nel 2019 oltre al rallentamento della crescita economica: Donald Trump mira a spaccare la Ue, sogna un G3 con Russia e Cina mentre persegue pericolosamente il protezionismo, una crescita in casa drogata, un debito sempre più gonfiato. L’Unione europea e l’Eurozona non potranno tener testa alle minacce dall’esterno se non sapranno gestire quelle interne. Per domare la Grande Crisi del 2008-2021, la Bce di Mario Draghi colmò il vuoto lasciato dalla politica. Alla prossima Grande Crisi, resta da vedere se l’Europa si troverà costretta a bussare alla porta di un nuovo Draghi finlandese, francese o chissà.