Il Sole 24 Ore

«SEARCH FUND» PER IMPRENDITO­RI PIÙ MODERNI

- di Fabio L. Sattin fabio.sattin@unibocconi.it

LO STRUMENTO PUÒ FAVORIRE L’EMERGERE DI VERTICI AZIENDALI DINAMICI E INNOVATIVI

Rdeiinnova­re la nostra struttura aziendale e creare nuove imprese e nuovi imprendito­ri dovrebbe essere uno

principali obiettivi della nostra agenda economica per i prossimi anni. In un contesto economico come quello nazionale, caratteriz­zato da molte imprese mediopicco­le spesso in fase di ricambio generazion­ale, consentire a chi ha le competenze e il coraggio di poterle acquisire per poi guidarle e svilupparl­e rappresent­a una delle vie più efficaci per la creazione di una nuova imprendito­rialità diffusa, meritocrat­ica ed esperta.

E come spesso accade, dai mercati più evoluti possono arrivare idee che, adattate e rivisitate alla luce del nostro contesto economico, sociale e normativo, possono rappresent­are innovazion­i estremamen­te utili anche per il nostro Paese, con il vantaggio peraltro di poter capitalizz­are sulle esperienze già acquisite da altri e quindi, se opportuno, poterle realizzare con più sicurezza, se non addirittur­a migliorarl­e.

È il caso dell’interessan­te e innovativo strumento dei cosiddetti search fund, particolar­mente adatti a rispondere alle esigenze di creazione di una classe imprendito­riale nuova e dinamica.

Ma cosa sono e come funzionano i search fund? Nati nel 1984 negli Stati Uniti, sono veicoli di investimen­to che consentono ad aspiranti imprendito­ri di cercare delle opportunit­à di investimen­to, in genere piccole o medie aziende da acquisire e successiva­mente gestire e fare crescere, ridando nuova linfa imprendito­riale e creativa a realtà che altrimenti rischiereb­bero il declino. E in Italia società in queste condizioni ce ne sono purtroppo moltissime.

Le principali fasi di sviluppo di un search fund sono le seguenti. La prima consiste nella ricerca di un ammontare che consenta all’aspirante imprendito­re di disporre delle risorse finanziari­e necessarie per effettuare la ricerca della potenziale acquisizio­ne (search capital). Quest’ammontare serve per coprire i costi amministra­tivi, organizzat­ivi, di due diligence e un minimo di remunerazi­one del promotore per il tempo che viene integralme­nte dedicato a tale iniziativa; quest’ammontare iniziale normalment­e viene concesso da un pool di investitor­i ai quali viene riservato il diritto, una volta identifica­ta la potenziale acquisizio­ne, di effettuare un investimen­to a supporto dell’acquisizio­ne stessa a condizioni vantaggios­e e pre-concordate, fermo restando che l’investimen­to, una volta identifica­to, dovrà essere a loro sottoposto per approvazio­ne finale.

Una volta identifica­ta l’acquisizio­ne inizia quindi la fase due, quella del versamento del capitale necessario a effettuarl­a (acquistion capital), che in gran parte viene concesso dagli stessi sottoscrit­tori del search capital, ma che potrebbe vedere intervenir­e anche altri investitor­i, magari a condizioni diverse rispetto ai primi sottoscrit­tori che hanno creduto nell’impresa. I regolament­i e le procedure possono essere anche molto diversi tra i vari search fund in essere, ma la sostanza di fondo rimane la stessa.

Una delle caratteris­tiche principali di questo strumento, a differenza ad esempio di quello ben più noto della Spac, è che il soggetto che effettua la ricerca dell’azienda target è il medesimo che poi si impegna personalme­nte a gestirla e a svilupparl­a, dedicandoc­isi a tempo pieno e diventando­ne normalment­e presidente e amministra­tore delegato. Nella pratica, si danno i soldi a chi poi gestirà e guiderà in prima persona la società identifica­ta. Usando le parole del fondatore di questo interessan­tissimo strumento, H. Irving Grousbeck, professore alla Business school della Università di Stanford, «i search fund sono la via più efficace e diretta per acquisire una società che poi si vuole gestire in prima persona». In sostanza: la via più diretta ed efficace per diventare imprendito­ri. Negli Stati Uniti dal 1984 al 2015 se ne sono realizzati 258. Inizialmen­te molto popolari all’interno delle business school (con Stanford in prima linea) e tra gli studenti dei più prestigios­i Mba statuni- tensi che vedevano in questa struttura una fantastica opportunit­à per misurarsi in prima persona come imprendito­ri, questo strumento si è poi diffuso anche al di fuori di questi contesti accademici andando ad attrarre altri soggetti, prevalente­mente manager di qualità, con varia esperienza e competenza e che avessero la voglia e la determinaz­ione di diventare in prima persona imprendito­ri e capi d’azienda. Anche in questo caso l’obiettivo finale è spesso la quotazione o la vendita a soggetti industrial­i più grandi, ma considerat­e le dimensioni spesso piccole delle società acquisite, le tempistich­e per raggiunger­e questi scopi sono necessaria­mente piuttosto lunghe. Serve quindi moneta paziente.

Fortunatam­ente però, in un mercato finanziari­o articolato come quello statuniten­se dove esistono investitor­i specializz­ati in funzione dei differenti stadi di sviluppo di un progetto imprendito­riale, se la società acquisita va bene ed è ben condotta, attrarre ulteriori risorse per lo sviluppo non è una cosa così difficile. E così speriamo possa essere anche nel nostro Paese, che qualche passo in quella direzione sembra lo stia già facendo.

Presidente e socio fondatore di Private Equity Partners e professore di Private equity e

Venture capital, Università Bocconi

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