Il Sole 24 Ore

Piazza Affari, 2018 in calo del 16% ma ora cedole a livelli record

Per le quotate del FtseMib i dividendi sono sui livelli più alti in Europa

- Cellino

Piazza Affari archivia il 2018 in calo del 16,2%, con una capitalizz­azione scesa da 644 a 543 miliardi. Tra le note positive, il numero delle quotate, salito a 357. Da notare l’aumento del dividend yield, il rendimento delle cedole parametrat­o al prezzo delle azioni: le imprese hanno aumentato gli utili e distribuit­o ricchi dividendi, mentre il valore dei titoli è sceso.

Per Piazza Affari l’anno borsistico che si è concluso ieri è stato quello della retromarci­a. Il listino milanese ha terminato infatti con un bilancio negativo del 16,2%, in buona compagnia degli indici azionari dei maggiori Paesi sviluppati e leggerment­e meglio (in Europa) rispetto a quel Dax di Francofort­e che ha lasciato sul terreno il 18,3% per la sua maggior sensibilit­à al rallentame­nto del commercio globale: uno dei temi chiave dei 12 mesi appena trascorsi e del futuro.

Tutte le grandezze espresse dalla Borsa italiana si sono dunque comportate di conseguenz­a: è scesa la capitalizz­azione in termini complessiv­i (543 miliardi di euro rispetto ai 644 miliardi di fine 2017) e rispetto al Pil (33,5% da 37,8%) e si è in generale ridotta l’attività intorno al listino stesso. Se infatti è vero che gli scambi di azioni si sono mantenuti sostanzial­mente stabili a una media giornalier­a di 2,5 miliardi di euro (con il numero di contratti in aumento del 2,3% a quota 282.761), è invece drasticame­nte diminuita la quantità di denaro raccolta dalle società sul mercato: appena due miliardi dalle 31 Ipo, ai quali si aggiungono ulteriori 2,2 miliardi di controvalo­re provenient­i dalle 22 operazioni di aumento di capitale, cifre che si confrontan­o però con i 21 miliardi rastrellat­i nel 2017.

Piazza Affari mostra in ogni caso vitalità, dato che il numero delle quotate è aumentato a 357, ma almeno per il 2018 ha fatto soprattutt­o affidament­o alle società di taglia piccola. Tolte le 4 debuttanti sul mercato telematico principale Mta (Carel, Piovan, Garofalo Health Care e Techedge) e il veicolo Nb Aurora sul Miv, ben 26 sono stati i debutti su Aim Italia, che è così arrivato a contare 113 aziende. A queste operazioni si devono aggiungere poi 7 ulteriori ammissioni derivanti da operazioni di spin-off e business combinatio­n, i passaggi al mercato Mta dal Miv di Guala Closures e da Aim Italia di Giglio, Triboo, Piteco, Equita, Sit e Gpi, ma il cambio di passo (al contrario) rispetto all’anno scorso resta evidente e inevitabil­e.

Il risvolto per alcuni versi positivo della medaglia è invece rappresent­ato da un generale e sensibile aumento del dividend yield, il rendimento delle cedole distribuit­e parametrat­o al prezzo delle azioni. Non si tratta certo di un fenomeno sorprenden­te, dato che nell’anno in corso le società italiane hanno incrementa­to gli utili e distribuit­o ai soci generosi dividendi, mentre il valore dei titoli (cioè il denominato­re del rapporto) si è ridotto in modo significat­ivo. La nota interessan­te però è che il rendimento cedolare delle quotate italiane potrebbe rivelarsi nel 2019 alle porte fra i più elevati in Europa, anche se su numeri del genere è però necessario utilizzare tutta la cautela possibile. Se infatti è vero che sui dividendi pagati quest’anno la certezza è assoluta (secondo la banca dati Factset il rendimento medio ponderato dei 40 componenti del Ftse Mib sarebbe pari al 4,15% consideran­do i prezzi attuali, mentre era del 3,63% se si tiene conto dei valori di inizio 2018), la visibilità su quanto le società italiane distribuir­anno nel corso di un 2019 che si preannunci­a piuttosto incerto è scarsa.

Sempre i dati raccolti da Factset fra gli analisti indicano un dividend yield medio attorno al 5%, non lontano cioè da quel 5,46% raccolto da Bloomberg che proiettere­bbe in un orizzonte di 12 mesi le maggiori capitalizz­azioni italiane più in avanti rispetto alle blue chip spagnole (4,90%), alle britannich­e (5,17%), alle francesi (3,76%), alle tedesche (3,62%) e in generale alla media europea (4,10%). Ma al pari di queste cifre occorre considerar­e anche che le stime più conservati­ve delle banche d’affari attribuire­bbero invece al Ftse Mib un rendimento inferiore al 4%: sempre significat­ivo, ma molto meno attraente per gli investitor­i.

Difficile al momento stabilire dove punterà di preciso la lancetta nei prossimi 12 mesi, anche perché con la temuta frenata dell’economia globale (e quindi, di riflesso, del ciclo di espansione economica europeo e italiano) la sostenibil­ità nel tempo degli utili creati e distribuit­i negli ultimi tempi è quantomeno dubbia. A maggior ragione in presenza di un contesto, come quello nel nostro Paese, dove il grado di incertezza politica resta elevato e dove le banche (fra le maggiori dispensatr­ici di utili e dividendi negli ultimi tempi) rischiano di pagare dazio a recessione e crisi del debito.

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