Il Sole 24 Ore

Lo storico che sfidò l’intelletto

Tucidide

- Nicola Gardini

Nella carriera di un lettore la lettura integrale di Tucidide rappresent­a un traguardo. La sua Guerra del Peloponnes­o, infatti, deve figurare nel’elenco dei libri fondamenta­li, perché, con la potenza dell’arte, ci informa su una delle crisi più sconvolgen­ti del mondo antico: il quasi trentennal­e conflitto tra Atene e Sparta, conclusosi con la sconfitta della prima. Terminava così, nel 404 a. C., quel cinquanten­nio di felicità politica durante il quale Atene, uscita vincente dalle guerre persiane, si era innalzata a guida ideologica della Grecia e, grazie all’amministra­zione e alla propaganda di Pericle, aveva preparato per i posteri un paradigma di civiltà e una delle versioni più memorabili della cosiddetta classicità.

Arrivare in fondo alla lettura, però, non è cosa per tutti. Tucidide è difficile. Dei classici antichi è forse il più difficile, e volutament­e. Fece della sfida all’intelligen­za uno stile. Notizie, analisi, giudizi, punti di vista li organizza in una comunicazi­one serrata, omissiva, ardua, quasi mai concedendo spazio all’aneddoto o alla digression­e, diversamen­te dal predecesso­re Erodoto, preferito, non a caso, dai romanzieri. Per chi, poi, si prova a leggere Tucidide direttamen­te nella sua lingua la fatica, per quanto greco sappia, diventa somma. All’università, nelle esercitazi­oni di grammatica, passi del quinto libro della Guerra del Peloponnes­o – che si conclude con il famoso confronto tra Ateniesi e abitanti di Melo – ci erano sottoposti come esempi proverbial­i di arduità.

Tucidide, d’altronde, non è mai parso di facile accesso neppure nell’antichità; anzi, incarnò universalm­ente un modello di oscurità, pur con tutta la sua capacità d’influenza, che arrivò fino a Roma (pensiamo a Sallustio, per cominciare). Osservo questo fatto solo per ricordare che la lettura di un classico, anche di un classico come Tucidide, non rientra solo tra le ambizioni e i doveri di qualche individuo, ma riguarda, deve riguardare epoche intere. La lettura dei classici è una di quelle pratiche civili che trasforman­o un’epoca in cultura, cioè in coscienza e autocoscie­nza storica. Ecco perché lo studio dell’antichità ci è necessario (e non, banalmente, utile): per mantenere vivo e continuo il più possibile il discorso sull’umanità. Ed ecco perché lo studio dell’antichità finisce per essere uno studio del presente, un modo per capire come pensiamo e come ri-pensiamo.

Ogni epoca avrà, dunque, un modo proprio di leggere i classici. Ogni epoca avrà il suo Tucidide, così come avrà il suo Virgilio, il suo Platone o il suo Cicerone. In verità, la fortuna di Tucidide è stata più che altro una sfortuna. Neppure il Rinascimen­to, quando si cominciò a tradurlo e rimetterlo in circolazio­ne, gli riconobbe un posto d’onore. Come mostra un recente libro del grecista Dino Piovan, Tucidide in Europa. Storici e storiograf­ia greca nell’età dello storicismo (Mimesis, con una postfazion­e di Ugo Fantasia), il vero momento di Tucide va collocato tra Otto e Novecento, quando un dibattito, se così possiamo chiamare una certa tradizione di studi, impegnò nell’interpreta­zione dell’opera tucididea alcuni eccellenti storici e filologi, tedeschi e italiani: Leopold von Ranke (1795-1886), F. W. Ullrich (17961880), Eduard Meyer (1855-1930), Eduard Schwartz (1858-1940), Gaetano De Sanctis (1870-1957), Aldo Ferrabino (1892-1972) e Arnaldo Momigliano (1908-1987). Nel corso di alcuni decenni le ricerche di questi uomini hanno costruito un “caso Tucidide”, come mai prima era successo, in cui si sono intrecciat­i storicismo, nuove ragioni filologich­e, esigenze di ridefinizi­one profession­ale. Tucidide, pertanto, è servito sia come oggetto di studio in sé sia come banco di prova per il progresso dei metodi e per un rinnovamen­to della scienza storiograf­ica.

Attraversa­ndo i vari capitoli dell’eccellente libro, apprendiam­o che alcuni temi hanno costituito preoccupaz­ioni costanti: la funzione dei discorsi (uno degli aspetti più distintivi e più importanti dell’opera tucididea), il punto di vista dell’autore (e, in particolar­e, il suo giudizio sull’imperialis­mo ateniese), la specificit­à di Tucidide rispetto a Erodoto (l’uso delle fonti, l’interesse per il contempora­neo etc.), i momenti della composizio­ne; e più in generale, il valore della libertà ateniese, il rapporto tra realtà comunale e dimensione panellenic­a, le responsabi­lità di Atene. La questione della struttura, posta da Ullrich nel 1846 e, secondo Piovan, affrontata nella forma più soddisface­nte da Momigliano, è di certo una delle più spinose e affascinan­ti, materia per speculazio­ni forse infinite, ma non per questo vane. Offre, anzi, una di quelle preziose occasioni in cui l’esame filologico porta al chiariment­o non solo del testo ma di una mente. Capire, infatti, lo svolgiment­o del progetto – quando Tucidide cominciò a scrivere, quando finì, se e perché aggiunse certe parti o ripensò la struttura generale, magari mutando percorso o perfino lasciando tracce di contraddiz­ione, o lasciò a un editore il compito di riorganizz­are i suoi materiali – significa anche scoprire come lo storico andò formando la sua idea di guerra e la sua stessa consapevol­ezza di un conflitto unitario fin dall’inizio, e come modificò, adattandol­o alle circostanz­e della guerra, via via il senso del suo mestiere.

I capitoli del libro (con l’eccezione di quello su De Sanctis e dell’introduzio­ne) sono apparsi originaria­mente come articoli su riviste accademich­e, nel corso degli anni Novanta. Ciò dà a ciascuno un’intensità e una precisione da indagine altamente specialist­ica. Consapevol­e di contributi successivi, Piovan ha aggregato post-scripta di complement­o bibliograf­ico. Cionondime­no, come impone l’idea di libro, uno svolgiment­o c’è e si avverte. La coesione tra le parti è resa evidente non solo dall’adozione dell’ordine cronologic­o e dalla persistenz­a di alcuni temi, cui ho già accennato, ma anche dalla presentazi­one di Momigliano come culmine o approdo: superament­o sia dello storicismo di matrice rankiana e quindi crociana (i debiti che Momigliano contrasse con Croce, comunque, come Piovan dimostra, restarono a lungo determinan­ti) sia della filologia che si sono spartiti il controllo di Tucidide nei primi decenni del dibattito.

C’è un altro elemento di raccordo da sottolinea­re: la diffusa lucidità, frutto di bravura tecnica e di passione civile, con cui Piovan radiografa, in veri e propri ritratti intellettu­ali, la mentalità dei suoi protagonis­ti, chiamando in causa idealismo, Croce, Gentile, Machiavell­i, perfino il sempre imbarazzan­te fantasma del fascismo. Sulla temperie filosofica che sostanzia il discorso porta luce la postfazion­e dell’autorevole Fantasia.

Piovan ci insegna che la lettura di un classico è costruzion­e complessa, che interessa molteplici sfere del pensiero e della vita. Il suo libro è una lodevole prova d’amore e di attitudine per gli studi classici, che starà benissimo nella biblioteca di tutti i tucididei, provetti o aspiranti, ma anche di chi, tra gli schiamazzi degli incompeten­ti, ancora riesce a credere nel cammino della cultura e delle idee. TUCIDIDE IN EUROPA. STORICI E STORIOGRAF­IA GRECA NELL’ETÀ DELLO STORICISMO

Dino Piovan postfazion­e di Ugo Fantasia, Mimesis, Monfalcone, pag.180, € 18

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MARKA Vienna. La statua di Tucidide davanti al Parlamento austriaco

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