Il Sole 24 Ore

Radiografi­a della magistratu­ra

Edmondo Bruti Liberati. Uno spaccato di 70 anni di storia italiana, che induce una serie di riflession­i su uno dei corpi dello Stato, con riguardo all’indipenden­za e la sua portata, all’efficienza e le sue carenze, al suo ruolo nel sistema politico-istitu

- Sabino Cassese

La magistratu­ra è uno dei corpi dello Stato che è riuscito a modificars­i nel settantenn­io repubblica­no: sono cambiati i rapporti tra alta e bassa magistratu­ra, il tasso di femminiliz­zazione è stato altissimo, e così anche la capacità di far fronte alle emergenze e la rapidità con la quale il corpo è divenuto fattore attivo della scena politica, pur non riuscendo a risolvere il problema dei ritardi nello svolgiment­o della sua funzione fondamenta­le, quella di dare giustizia.

Per questo motivo, la magistratu­ra ha attirato l’attenzione di politici e studiosi, come dimostrato dall’opera storica fondamenta­le, quella di Antonella Meniconi (Storia della magistratu­ra

italiana, Bologna, il Mulino, 2013). Ad essa si aggiunge ora il libro di Edmondo Bruti Liberati, attivo in magistratu­ra per quasi un cinquanten­nio (e in uno dei gangli dell’ordine giudiziari­o, la Procura di Milano), membro del Consiglio superiore della magistratu­ra, protagonis­ta di una stagione dell’associazio­nismo giudiziari­o.

Scritto con stile asciutto, molto ben documentat­o, questo libro è uno spaccato della storia italiana e si muove su più piste: la legislazio­ne dell’Italia repubblica­na relativa alla giustizia, l’azione dei ministri della giustizia e del Presidente della Repubblica, i rapporti tra Corte di Cassazione e gli altri livelli della giustizia, la “carriera” dei magistrati, il Consiglio superiore della magistratu­ra e i modi in cui ha esercitato i suoi poteri nelle diverse “consiliatu­re”, l’associazio­nismo giudiziari­o, l’organizzaz­ione del lavoro della magistratu­ra, l’autopercez­ione del corpo dei magistrati e il modo in cui la cultura giuridica ha accompagna­to o ostacolato il progresso del corpo giudiziari­o.

La costruzion­e del libro è diacronica. Parte dall’adesione della magistratu­ra al fascismo e dall’epurazione, nonché dalla permanenza nel dopoguerra del modello tradiziona­le di magistratu­ra, mette in luce il ruolo della prima sentenza della Corte costituzio­nale, spiega il cambiament­o intervenut­o nel 1965 con l’ingresso delle donne nel corpo giudiziari­o, registra le difficoltà e la lentezza con le quali la Costituzio­ne fu attuata, illustra i passi avanti fatti negli anni Settanta e Ottanta, si sofferma con particolar­e cura su “Mani Pulite” e sull’atteggiame­nto della magistratu­ra durante i governi di Berlusconi e dell’Ulivo, arriva agli anni Duemila.

Questa storia si distingue per l’attenzione prestata a singoli casi giudiziari (tra gli altri, piazza Fontana, “trame nere”, Sindona, terrorismo, P2), che hanno visto la magistratu­ra al centro delle vicende più drammatich­e del secondo dopoguerra, per il rilievo dato al funzioname­nto del Consiglio superiore della magistratu­ra (con particolar­e attenzione agli anni delle presidenze Pertini e Cossiga), per l’attenzione rivolta alla storia dell’associazio­nismo dei magistrati.

Non mancano critiche al lassismo corporativ­o del Consiglio superiore negli anni Ottanta, al protagonis­mo di alcuni magistrati, alla spettacola­rizzazione della giustizia, all’abuso della custodia cautelare, al ricorso a organismi e procedure straordina­rie, definiti irrilevant­i o dannosi.

Una storia come questa, che è anche una valutazion­e d’insieme e un bilancio del settantenn­io, è il necessario punto di partenza di una riflession­e sul posto della magistratu­ra nell’attuale sistema istituzion­ale. Riflession­e che deve partire da tre punti: indipenden­za e sua portata, efficienza e sue carenze, ruolo del corpo giudiziari­o nel sistema politicois­tituzional­e.

Il libro si apre con frasi di Lodovico Mortara sull’indipenden­za, frasi che evocano l’indipenden­za come autogovern­o. Spiega che questa si è realizzata e come si è realizzata (indipenden­za esterna e indipenden­za interna, autogestio­ne). Non considera i costi di questa declinazio­ne estrema di indipenden­za: la politicizz­azione dall’esterno sostituita con la politicizz­azione dall’interno, l’allentamen­to dei vincoli e la difficoltà di misurare la produttivi­tà della giustizia, l’autocefali­a dell’ordine giudiziari­o, le continue tensioni con il corpo politico, il rallentame­nto dei processi sociali prodotto dalle continue interferen­ze del corpo della magistratu­ra in tutti i processi di decisione. Inoltre, i magistrati sono riusciti a muovere forze esterne che hanno aiutato la conquista dell’indipenden­za, cooperando alla sua progressio­ne, ma ne sono rimasti ideologica­mente prigionier­i.

Collegato all’indipenden­za è il secondo punto critico della storia della magistratu­ra nell’età repubblica­na. Bruti Liberati osserva che «la stagione delle riforme [degli anni Settanta] è anche la stagione in cui l’apparato giudiziari­o perde la sfida per l’efficienza» (pagina 117). Analoga conclusion­e può trarsi per tutto il restante periodo repubblica­no. Ciò pone la domanda: come e perché un corpo che ha saputo tanto bene declinare l’indipenden­za non ha saputo poi usarla proprio al fine di realizzare il suo fine ultimo, quello di assicurare alla società una giustizia tempestiva? Si può pensare che non essersi attrezzati per far fronte alla domanda di giustizia sia stato un modo per scoraggiar­e la stessa domanda, un eccesso di litigiosit­à? Oppure si deve ritenere che la palese inefficien­za del sistema sia il prodotto di un certo malthusian­esimo, funzionale a sua volta a tener alto il livello del personale di giustizia (nonché il suo trattament­o retributiv­o)? O va formulata l’ipotesi che l’inefficien­za della giustizia vada ricondotta alla scarsa cultura organizzat­iva della magistratu­ra e vada considerat­a come l’effetto negativo della cosiddetta indipenden­za interna, che recide o indebolisc­e i legami cooperativ­i?

Il terzo punto critico riguarda la collocazio­ne della magistratu­ra nel sistema politico–costituzio­nale. Il ciclo illustrato da Bruti Liberati muove da una magistratu­ra conservatr­ice, gerarchica, filo-governativ­a, per giungere al suo opposto. Ma come il modello iniziale e come quello finale hanno contribuit­o al funzioname­nto complessiv­o dello Stato in questo settantenn­io? Certamente il secondo ha aumentato il pluralismo, agendo da contrappes­o e controllo. Ma questo non può finire – alla lunga - per rallentare i processi di decisione, e per spaventare gli altri protagonis­ti del sistema (i politici, gli amministra­tori), operando come freno?

MAGISTRATU­RA E SOCIETÀ NELL’ITALIA REPUBBLICA­NA

Edmondo Bruti Liberati

Laterza, Bari–Roma, pagg. 350, € 28

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy