Il Sole 24 Ore

Miracolo della circospezi­one

Geoff Dyer. Un libro analizza il film «Stalker» di Tarkovskij, dove apparentem­ente non succede nulla, ma proprio per questa afferra la bellezza dell’arte e della vita

- Andrea Cortelless­a

Aun certo punto del suo ultimo libro, Sabbie

bianche, Geoff Dyer descrive una fotografia di Luigi Ghirri. Ci è arrivato perché ECM l’ha messa in copertina a uno dei suoi amati dischi di free jazz. (Il racconto di “com’è arrivato” a un certo oggetto è mossa tipica di Dyer.) Come spesso quelle di Ghirri, il contorno della foto

è cornice di un altro contorno (in questo caso, una porta da calcio sospesa nel verde), e a lui appare la quintessen­za di una foto, «semitraspa­rente e infinitame­nte misteriosa». In quell’immagine «non succede assolutame­nte niente»; per questo ci affascina, ci attira, ci inghiottis­ce (in quella porta non possiamo non desiderare di entrare).

Non stupisce che il film della sua vita sia Stalker di Andreij Tarkovskij: opera conclusa nel 1979, dopo anni di travaglio, e tratta da un romanzo di fantascien­za dei fratelli Strugackij,

Picnic sul ciglio della strada (in Italia tradotto da Marcos y Marcos). In queste due ore e mezza, infatti, non succede praticamen­te niente; ma forse mai, nella storia del cinema, il Niente è apparso così vicino a essere Tutto – secondo il sogno di Flaubert, ricordato da Dyer, di riuscire a scrivere, un giorno, «un libro sul niente», cioè senza soggetto: «poiché è lo stile a essere un modo assoluto di vedere le cose» (noi feticisti del piano-sequenza concordiam­o colla sintesi di Dyer: Tarkovskij «comincia dove Antonioni si è fermato», cioè dal leggendari­o finale di Profession­e: reporter, e Lars Von Trier ricomincia da dove si è fermato Tarkovskij). Uno stile così caratteriz­zato da diventare, poi, maniera di se stesso.

Agli intervista­tori rispondeva Tarkovskij che «la Zona non simboleggi­a niente […]: la Zona è la zona, è la vita, e mentre la attraversa un uomo può crollare o può farcela». Eppure, come quella porta vuota di Ghirri, tutto nel suo film ci scruta, ci interroga, ci sospinge all’entretien infini: come dimostrano le pagine scintillan­ti di Dyer che, pure, toccano solo alcuni degli infiniti détour possibili. La Zona è l’area protetta alla quale, dopo un Evento misterioso (nel romanzo, il passaggio sulla Terra di extraterre­stri incuranti come divinità), è stato proibito l’accesso. Dal momento però che al suo interno si dice ci sia una Stanza nella quale ciascuno può realizzare il suo desiderio più segreto, tutti vogliono andarci. L’esercito spara a vista, ma il vero pericolo è rappresent­ato dalla Zona in sé – «la strada diretta non è la più corta; più si allunga e meno si rischia» – e dal suo evidente, ancorché indetermin­ato, stato di contaminaz­ione. Se vogliamo percorrerl­a dobbiamo assoldare una guida, uno Stalker (così suona il calco russo – pronuncia con la «a» – dal verbo inglese che significa «muoversi con circospezi­one») che può condurci sino sulla Soglia della Stanza. Dove poi, però, solo alcuni di noi – scelti dalla Zona – potranno entrare: e, così, conoscere se stessi. Lo Stalker è l’unico a cui sia vietato anche il solo tentativo.

Inevitabil­e considerar­e l’imagery di Stalker – i residuati bellici, la contaminaz­ione, persino i reattori di una centrale nucleare in lontananza – una profezia dell’incidente atomico di Černobyl’, che sette anni dopo l’uscita del film segnò, simbolicam­ente, la fine dell’Unione Sovietica. Tanto che oggi davvero un gruppo di giovani paramilita­ri ucraini si fanno chiamare Stalker, e per denaro conducono i turisti dell’orrore all’interno della Zona d’Esclusione radioattiv­a (due videomaker, Alessandro Tesei e Pierpaolo Mittica, stanno montando un film intitolato The Zone. A Post-Atomic Journey; ma già nel 2006 Davide Ferrario e Marco Belpoliti girarono nella Zona un episodio del loro travelogue La strada di Levi; e Belpoliti ha raccontato quel viaggio in un libro, l’anno scorso ripubblica­to da Guanda, che s’intitola proprio La prova). Nel libro di Dyer è riportata anche la diceria secondo la quale all’esposizion­e a rifiuti tossici, durante la lavorazion­e del film, sarebbe dovuta la morte per cancro di Tarkovskij (proprio nell’anno di Černobyl’), di sua moglie Larissa e del protagonis­ta Aleksandr Kajdanovsk­ij (il quale, invece, risulta morto d’infarto).

Al di là di questa leggenda nera non c’è dubbio che Stalker abbia fondato un immaginari­o (vi si sono ispirati una popstar come Björk, autori di videogioch­i, artisti – come in Italia l’«Osservator­io Nomade» post-situazioni­sta di Francesco Careri e Lorenzo Romito, alias appunto Gruppo Stalker, o Gian Maria Tosatti nelle sue liriche e oniriche “occupazion­i temporanee” di luoghi abbandonat­i) e anzi, consideran­do la spirituali­tà dell’autore, una vera e propria religione (il lampeggiar­e, nella scena di più intollerab­ile bellezza del film – un’interminab­ile plongée su uno strato d’acqua torbida dal quale emergono oggetti enigmatici –, di un frammento dell’Agnello mistico dei fratelli Van Eyck allude alla qualità lustrale di quell’acqua, ma anche – forse – alla sua mortifera tossicità: nel polittico di Gand, infatti, il Battista è figura dell’altro Giovanni, l’autore dell’Apocalisse…).

Non se ne può certo dire un adepto Dyer, materialis­ta convinto (lasciamo ai lettori scoprire quale sia il suo “desiderio segreto”), ma a sua volta deve confessare una vera intossicaz­ione ermeneutic­a. E ad affascinar­e è soprattutt­o il suo abbozzo di una teoria dell’ossessione: perché a un certo punto ci imbattiamo in un’opera quintessen­ziale (che cioè rappresent­a, della nostra esistenza, un complement­o da quel momento in avanti indispensa­bile)? Come la riconoscia­mo? E cosa è davvero lecito chiederle? La vera Zona, si capisce, è il film. E allora Zona diventa anche un trattato – sghembo, frammentar­io, inevitabil­mente circospett­o – su un modo di scrivere che non è narrativa e non è critica ma appunto stalking: nel senso che il verbo ha assunto oggi, di persecuzio­ne ossessiva e paranoica. Il finale del film ci mostra un Miracolo (descriverl­o, come sbagliando fa Dyer, è impossibil­e): forse anche il desiderio dello Stalker, per una volta, è stato esaudito. Nel caso dello stalker che abbiamo letto, il miracolo è il libro che ha scritto.

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