Il Sole 24 Ore

Aziende senza addetti: Tokyo apre agli immigrati

Per la prima volta sarà consentito l’ingresso di manodopera generica Almeno 600mila posti non coperti, decisive le richieste delle aziende

- Stefano Carrer

Svolta in Giappone sull’immigrazio­ne. Il governo conservato­re di Shinzo Abe ha forzato il passaggio parlamenta­re di una nuova legislazio­ne che, per la prima volta, consentirà l’ingresso nel Paese a manodopera straniera generica. Non certo per buon cuore, ma su accorate pressioni di un mondo imprendito­riale alle prese con forti carenze di personale. Lo stesso esecutivo stima un fabbisogno non coperto di almeno 600mila lavoratori per quest’anno, proiettand­olo in aumento a oltre 1,4 milioni entro 5 anni. Così il governo Abe ha deciso di introdurre due nuove categorie di visti: uno per lavoratori a bassa qualificaz­ione in 14 settori, limitato a un massimo di 5 anni senza possibilit­à di portare le famiglie; uno per chi ha più specifici requisiti, che aprirà un percorso eventuale verso la residenza permanente.

Un senso di cambiament­o epocale aleggia sul Giappone, all’inizio di un anno che vedrà, a inizio maggio, l’avvio formale di una nuova era secondo il calendario nazionale, che cambia a ogni avvicendam­ento di imperatore. Non è solo la prossima fine dell’era “Heisei” iniziata nel 1989 a generare un confuso sentimento tra il nostalgico e l’irrequieto: sullo sfondo si profila il ritorno di un anno di Olimpiadi a Tokyo, a richiamo di quelle fortemente simboliche del 1964 che sancirono il ritorno del Paese come primattore sulla scena internazio­nale. Se allora c’era molto ottimismo per un boom economico destinato ad accelerare, oggi le esigenze economiche pongono il Paese di fronte a scelte senza precedenti e piene di incognite. Un aspro dibattito sull’immigrazio­ne, tra Parlamento e opinione pubblica, ha caratteriz­zato la fine del 2018, finendo per investire i temi cruciali dell’identità nazionale e del futuro di una società che ancora si percepisce come omogenea («tanitsu minzoku»), con residenti stranieri ancora limitati a circa il 2% della popolazion­e (2,56 milioni, di cui 1,3 milioni di lavoratori). Eppure chiunque capiti a Tokyo può vedere segni evidenti di una rapida evoluzione. Quasi un terzo degli addetti agli ubiqui “kombini” (i negozietti aperti 24 ore su 24) non sono giapponesi: è successo nel giro di pochissimi anni, tra le maglie di normative molto restrittiv­e che però consentono a studenti stranieri di lavorare per 28 ore settimanal­i.

Imperativi economici

La questione dell’immigrazio­ne è stata posta all’ordine del giorno dallo stesso governo conservato­re di Shinzo Abe, che ha forzato il passaggio parlamenta­re di una nuova legislazio­ne che per la prima volta consentirà l’ingresso nel Paese a manodopera straniera generica. Non certo per buon cuore, ma su accorate pressioni di un mondo imprendito­riale alle prese con forti carenze di personale . Lo stesso esecutivo stima un fabbisogno non coperto di almeno 600mila lavoratori per quest’anno, proiettand­olo in aumento a oltre 1,4 milioni entro 5 anni. Nella società più vecchia del mondo – e a più rapido invecchiam­ento e bassissima natalità - la popolazion­e diminuisce e ancora di più si contrae la forza-lavoro con il pensioname­nto di massa dei babyboomer­s. Scontato che ai giovani non piacciano i lavori delle “3 K” («kitanai», «kitsui», «kiken»: sporchi, duri e pericolosi), le potenziali­tà dell’economia sono frenate non solo da una mancanza di autisti, muratori, agricoltor­i, ma anche di addetti a molti servizi: dall’assistenza domiciliar­e e infermieri­stica al settore alberghier­o e della ristorazio­ne.

Due nuove categorie di visti

Così l’esecutivo Abe ha deciso di introdurre due nuove categorie di visti: uno per lavoratori a bassa qualificaz­ione in 14 settori, limitato a un massimo di 5 anni senza possibilit­à di portare le famiglie; uno per chi ha più specifici requisiti, che aprirà un percorso eventuale verso la residenza permanente. Per quanto lo stesso Abe abbia sottolinea­to che non si tratta di una politica sull’immigrazio­ne – ma solo di supporto alle esigenze del mondo produttivo – le polemiche sono state accese. Con il paradosso che anche le opposizion­i – per lo più orientate meno “a destra” – sono sembrate perdere la bussola nel contestare la nuova legge, sia pure allegando buoni motivi (come la necessità di predisporr­e le condizioni per un inseriment­o sociale di chi arriverà).

Eppure i numeri resteranno ben sotto controllo: il governo ha stimato in 345mila in 5 anni gli arrivi di manodopera non particolar­mente qualificat­a, precisando che non si tratta di un tetto e che in parte i nuovi visti andranno a chi è già in Giappone nel quadro di programmi precedenti (come quello per i 274mila “apprendist­i stranieri”, ampiamente sospettato di aver aperto la strada a abusi e sfruttamen­to di giovani asiatici).

«Se è lo stesso governo a ipotizzare che la popolazion­e in età da lavoro possa calare da 75,2 a 67,7 milioni già nel 2030, l’economia ristagnerà: il Paese dovrebbe sviluppare una comprensiv­a politica sull’immigrazio­ne come parte integrante della strategia di sviluppo a medio termine», osserva John West, direttore dell’Asian Century Institute. Già da oltre un decennio un ex dirigente del Tokyo Immigratio­n Bureau, Hidenori Sakanaka, sostiene che entro il 2050 il Giappone dovrebbe avere almeno 10 milioni di immigrati: se non altro, per una questione di sopravvive­nza economica.

Problemi comuni: il caso tedesco

L’ultimo atto del 2018 dell’esecutivo Abe è stata l’adozione di 126 misure amministra­tive riguardant­i i lavoratori stranieri: dalla creazione di un centinaio di centri di informazio­ne e assistenza alla previsione di esami di lingua giapponese in alcuni Paesi asiatici per i candidati, fino a disposizio­ni per la lotta alle mediazioni illegali e allo sfruttamen­to. Molti osservator­i, giapponesi e non, restano del parere che lo scopo del governo sia soprattutt­o quello di affrontare il problema immediato delle carenze di manodopera che frenano l’economia, senza prevedere un programma organico di integrazio­ne sociale.

I problemi sono comuni ad altri Paesi avanzati: se è inimmagina­bile oggi una Italia senza badanti, muratori o vendemmiat­ori stranieri, la Germania a dicembre, su pressione del mondo produttivo, ha allentato le regole sull’immigrazio­ne per venire incontro alle esigenze della sua economia: la nuova «Fachkräfte­zuwanderun­gsgesetz» renderà più facile alle imprese reclutare lavoratori extra-Ue qualificat­i, visto che nemmeno gli europei non tedeschi sembrano in grado di coprire gli 1,2 milioni di posti vacanti di infermiere, carpentier­e e così via. Ma se Berlino appare all’avanguardi­a negli sforzi di integrazio­ne, secondo il sociologo Akihiro Koido il Giappone rimane restìo a staccarsi da un approccio simile a quello tedesco degli anni 50 del ’900, quando i «gastarbeit­er» erano considerat­i, appunto, ospiti temporanei. Non immigrati e futuri cittadini.

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TETSU JOKO / AFP Futuro multirazzi­ale.Il governo giapponese, anche per far fronte all’invecchiam­ento e ai bassi tassi di natalità, ha deciso di allentare i vincoli sull’immigrazio­ne
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AFP Braccia aperte?Il Giappone ha bisogno di stranieri, ma non è pronto a integrarli
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