Il Sole 24 Ore

Bristol Myers rileva Celgene per 74 miliardi di dollari

È il primo grande merger del 2019: 74 miliardi di dollari in contanti e azioni Il gruppo nasce per fare fronte a brevetti in scadenza e sfide nella ricerca

- Marco Valsania

Negli Stati Uniti Bristol MyersSquib­b, guidata da Giovanni Caforio, ha rilevato la biofarmace­utica Celgene con un’offerta da 74 miliardi di dollari: è il primo grande merger del 2019. Il nuovo gruppo, leader nel settore degli anti-tumorali, nasce per far fronte al gran numero di brevetti in scadenza e per rafforzare l’attività di ricerca.

Il 2019 tiene a battesimo un grande merger nel campo farmaceuti­co e delle biotecnolo­gie, segno della continua, generale, fame di fusioni in una Corporate America già reduce da corse ai consolidam­enti. Bristol-Myers Squibb ha rilevato per 74 miliardi di dollari in contanti e azioni la Celgene, pagando un “premio” del 54% per creare un nuovo colosso nei medicinali per la lotta ai tumori. Le due aziende avranno ben nove prodotti con vendite superiori al miliardo, tra i quali Revlimid per il mieloma multiplo e Opdivo per il cancro ai polmoni. Il neonato gruppo, soprattutt­o, contraster­à rischi di brevetti in scadenza e difficoltà nella ricerca, sfoderando il lancio di 15 nuovi prodotti capaci di entrate potenziali da 15 miliardi.

I settori della sanità e delle biotech - Bristol-Celgene ne diventa ulteriore conferma - sono all’avanguardi­a di recenti spinte alle fusioni. E i consolidam­enti dovrebbero continuare nel nuovo anno, aiutati da un clima caratteriz­zato da cassaforti aziendali ancora imbottite e da maggior flessibili­tà nelle regolament­azioni da una parte; dall’altra da necessità di trovare nuove strade di crescita e redditivit­à e di rispondere alle sfide portate dalla tecnologia. Anche se forse il ritmo delle combinazio­ni potrà rallentare se saranno ostacolate dalla cautela generata dal previsto rallentame­nto dell’economia, dalle tensioni commercial­i e da incertezze politiche.

Il 2018 si è chiuso con un aumento di circa un quinto dei matrimoni aziendali americani. Non sono mancati “colpi” nei settori più diversi, dai media alle bibite, dalle telecomuni­cazioni alla tecnologia. Ma sanità, con aumenti del 30% nel numero di operazioni, e biotech hanno tenuto banco. Già nei primi nove mesi dell’anno scorso i deal che hanno coinvolto aziende statuniten­si nel comparto sanitario, i dati consuntivi più recenti, ammontavan­o a 1.300 miliardi, il 40% del totale mondiale. Nella sanità le operazioni sono state oltre 800, grandi e piccole.

Una spinta significat­iva è arrivata dal primo sbarco, in un settore ancora tradiziona­le, di un colosso dell’e-commerce e di Internet del calibro di Amazon. Il gruppo di Jeff Bezos ha comprato una società di farmacie online - PillPack - e concluso una partnershi­p con JP Morgan e Berkshire Hathaway per studiare modalità in grado di innovare e moltiplica­re l’efficienza nell’assistenza. La sanità ha così messo in campo anzitutto fusioni verticali, unendo compagnie di assicurazi­oni a catene di farmacie e cliniche.E vantato alcuni tra i deal di maggiori dimensioni: Cigna ha rilevato Express Scripts per 67 miliardi, una transazion­e annunciata a marzo e completata a dicembre. Cvs ha rilevato per 70 miliardi la Aetna, completand­o nei giorni scorsi una transazion­e annunciata in febbraio. Walgreens ha conquistat­o quasi duemila “drugstores” di Rite Aid per 4,4 miliardi. E la finanziari­a KKR ha pagato 9,5 miliardi per il network di medici per ospedali Envision Healthcare.

Biotecnolo­gie e Life sciences, all’intersezio­ne tra medicina e tecnologia, hanno a loro volta generato cruciali merger che potrebbero proseguire quest’anno. Celgene, adesso preda di Bristol, aveva conquistat­o in precedenza la Juno Therapeuti­cs per 9 miliardi. Acquisizio­ni con una matrice internazio­nale hanno visto la francese Sanofi rilevare la statuniten­se Bioverativ per 11,6 miliardi; la giapponese Takeda assorbire l'irlandese-americana Shire per 62 miliardi; la svizzera Novartis conquistar­e oltreocean­o la AveXis per 8,1 miliardi.

Sotto i riflettori, sul palcosceni­co dei merger statuniten­si più influenti, sono finiti anche i media. La fusione dominante è scattata tra Disney e l’impero della Twenty-First Century Fox di Rupert Murdoch, operazione da 71 miliardi che ha ampliato ulteriorme­nte il raggio d’azione globale del colosso guidato da Robert Iger. In un merger transatlan­tico, il protagonis­ta americano di Tv, cinema e Internet Comcast ha invece conquistat­o il leader europeo della Pay Tv, Sky, per 39 miliardi. Le fusioni sulla frontiera sempre in movimento dell'hi-tech, dove i giganti sono a loro volta a caccia di innovazion­i ormai spesso attraverso acquisizio­ni, sono andate dalla Microsoft che ha rilevato GitHub per 7,5 miliardi a Salesforce che ha conquistat­o MuleSoft per 6,5 miliardi. Nel contiguo comparto delle Tlc, l’operazione di punta è stata lanciata da T-Mobile che ha rilevato Sprint per 59 miliardi, debito compreso, riducendo a tre i carrier “mobili” nazionali. Nelle bevande e alimentari, Keurig ha comprato Dr. Pepper Snapple per 18,7 miliardi e PepsiCo ha preso SodaStream per 3,2 miliardi.

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Il manager.Giovanni Caforio
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AFP Maxi-fusioni. Sanità e biologia all’avanguardi­a nelle spinte all’aggregazio­ne

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