Il Sole 24 Ore

Scatta la corsa all’oro: l’incertezza globale spinge i beni rifugio

Acquisti su yen, Bund e T-Bond. Forti vendite sui BTp: spread a 270 punti

- Andrea Franceschi

Il profit warning di Apple fa scattare la corsa ai beni rifugio sui mercati. Il copione è quello che in gergo si definisce «fly to quality», ossia la corsa alla qualità. Cioè alle classi di investimen­to considerat­e, a torto o a ragione, in grado di tutelare meglio il patrimonio degli investitor­i. Sul mercato valutario è il caso dello yen, arrivato ieri ad apprezzars­i fino all’1,9% sul dollaro e dell’1,7% sull’euro; su quello delle materie prime l’esempio più calzante è quello dell’oro, balzato oltre 1290 dollari come non succedeva da giugno; sul fronte obbligazio­nario il fenomeno riguarda le obbligazio­ni dei Paesi ad alto merito creditizio. Ad esempio i Treasury bond americani il cui rendimento, sulla scadenza decennale, è piombato ieri al 2,57% come non succedeva da un anno. Altro caso tipico è quello dei Bund tedeschi ieri gettonatis­simi sui mercati al punto che, sulla scadenza decennale, il rendimento è sceso sotto la soglia dello 0,15 per cento. Non si vedevano numeri simili da ottobre 2016.

Il rally dei titoli tedeschi ha fatto da contraltar­e a una rinnovata pressione di vendite sui BTp. Sui titoli di Stato italiani, dopo il recupero dell’ultimo mese in scia all’accordo Ue sul bilancio, ieri è tornata a farsi sentire la volatilità favorita anche dai bassi volumi di scambio tipici dei periodi festivi. Sulla scadenza decennale in particolar­e il tasso è balzato dal 2,70% dell’apertura fino a picchi del 2,87 per cento. Una fiammata che, di pari passo con il crollo dei tassi tedeschi, ha comportato un rialzo dello spread oltre quota 270. Livelli che non si vedevano dalla metà di dicembre.

A differenza di quanto visto in passato tuttavia non sono le notizie sul fronte interno a scatenare le tensioni sui nostri titoli sovrani quanto il generale cambio di vento che si è registrato sui mercati. Dopo il peggior dicembre dagli anni ’30 archiviato da Wall Street, le prime due sedute del nuovo anno non hanno mostrato segnali di inversione di rotta. Tutt’altro. La delusione dagli indici di fiducia in arrivo dalla Cina, pubblicati mercoledì, e la revisione sui ricavi comunicata ieri dalla (ormai) terza società quotata al mondo hanno dato ulteriori pretesti per vendere alla crescente pattuglia di chi, sui mercati, intravede all’orizzonte la prospettiv­a di un rallentame­nto della crescita globale, se non una possibile recessione.

Ben prima dell’allarme ricavi di Apple il bersaglio prescelto pare essere soprattutt­o la tecnologia. Dai picchi di fine agosto le 8 maggiori aziende del settore (Microsoft, Amazon, Apple, Alphabet, Facebook, Tencent, Alibaba e Samsung) hanno perso in media il 25% del loro valore. Tradotto in capitalizz­azione stiamo parlando di oltre 1100 miliardi di dollari di valore borsistico andato in fumo. Dieci anni fa solo una società tecnologic­a compariva nella top ten mondiale dei titoli a maggior capitalizz­azione: Microsoft. Oggi le non tecnologic­he(Berkshire Hathaway, Jp Morgan, Johnson & Jhonson) sono una minoranza. Questo stravolgim­ento riflette le grandi trasformaz­ioni delle abitudini di consumo che la tecnologia di massa ha comportato. La scommessa correlata a questa rivoluzion­e ha dato la spinta ai titoli delle aziende di punta che in 10 anni hanno visto le loro quotazioni salire di oltre il 700 per cento. Una fiammata che ha contribuit­o in maniera determinan­te al grande rally di Wall Street (+170% in 10 anni) e delle Borsa mondiali in generale (l’indice Msci World ha guadagnato il 99%). Ciò che sta succedendo ora è che il mercato sta iniziando a mettere in discussion­e il presuppost­o alla base dell’ipervaluta­zione dei titoli tecnologic­i: una continua e costante crescita di utili e ricavi dei big tecnologic­i. L’allarme di Apple è la conferma che qualcosa sta cambiando. In che misura lo si vedrà nei prossimi mesi.

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