Così i big dell’hi-tech creano la loro ricchezza
Microsoft e Amazon, la sfida è nel cloud. Facebook «vincolato» alla pubblicità
Nel gergo di Borsa sono le “Gafam”. Cioè l’acronimo di: Google (Alphabet), Apple, Facebook, Amazon e Microsoft. Big dell’hi-tech Usa spesso accomunate l’una con l’altra ma che, in realtà, hanno differenti business model e strategie di sviluppo. Una diversità, alla base di successi (o insuccessi), che troppe volte è dimenticata. Un modo per ricordarla è guardare ai bilanci di questi giganti tecnologici per capire come fabbricano ricavi e profitti.
La casa di Cupertino
Partiamo proprio da Apple che, due giorni fa, ha lanciato il profit warning. Orbene: nell’ultimo esercizio (archiviato il 29 settembre scorso) la casa della “mela morsicata” ha generato 265,595 miliardi di dollari di fatturato. Di questi il 63% è appannaggio dell’ iPhone. Cioè: la società è indubbiamente dipendente dal “melafonino”. E, però, una certa differenziazione dell’attività è stata realizzata. Le altre linee di prodotto, sebbene distanziate, hanno la loro “dignità”. Così l’iPad pesa sul giro d’affari per il 7% il Mac per 10% mentre l’incidenza dei cosiddetti servizi è al 14%. In quest’ultima area Apple, a ben vedere, riconduce diverse attività: dai ricavi sui contenuti digitali (iTunes) ad Apple care (servi di assistenza It) fino ad Apple Pay. Da non dimenticare, infine, gli altri prodotti (6,5% del fatturato) che ricomprendono, tra gli altri, l’orologio Apple e l’iPod touch. Insomma: l’iPhone resta il “Re” ma la diversificazione del business non è irrilevante. La sfida è di spingere ulteriormente quest’articolazione.
La società di Bezos
Diversa la situazione di Amazon. Qui il colosso del commercio elettronico, nei primi nove mesi del 2018, ha portato a casa 160,5 miliardi di ricavi. Di questi oltre l’80% è da ricondursi all’e-commerce. Quindi: nulla di strano. In realtà, scavando tra i numeri, la situazione cambia. Guardando infatti al risultato operativo salta fuori la seguente situazione: il Nord America (in gran parte commercio elettronico) ha generato 5,01 miliardi di operating income; le attività Internazionali (sempre e-commerce) sono, al contrario, in perdita per 1,5 miliardi. L’Amazon Web Services (Aws), invece, ha “prodotto” ben 5,12 miliardi di reddito operativo. Vale a dire: fino ad oggi la profittabilità della società è garantita da Aws. Al che si domanda: in che cosa consiste quest’area? Si tratta delle attività legate al cloud computing. Cioè: Amazon, a livello consolidato, guadagna soldi grazie alla nuvola informatica. C’è da stupirsi? No, è l’effetto della strategia aziendale. Amazon punta a rendere globale la sua piattaforma: spende miliardi di dollari per espandere un modello di business basato su prezzi scontati, ampia offerta e consegna veloce. Allo stato attuale, fuori dal Nord America, non è prioritario essere redditizi. Al contrario fondamentale è acquisire clientela e creare la struttura tecnologico-logistica per supportare la crescita e i servizi, anche finanziari. Tanto, per ora, ci pensa il cloud computing.
Non solo windows
Già, il cloud computing. C’è un’altra società che scommette non poco su questa tecnologia: Microsoft. Il gruppo hi-tech, nel primo trimestre dell’attuale esercizio, ha raggiunto un giro d’affari di 29,084 miliardi di dollari. Orbene di questi 8,567 miliardi sono appannaggio dell’ “Intelligent cloud”. Un numero non indifferente che si conferma anche a livello di operating income: sul totale di 9,95 miliardi la redditività generata dalla “nuvola informatica” si è assestata a 2,9 miliardi. Un valore in rialzo del 37,1% rispetto allo stesso periodo dell’esercizio precedente.
Il mondo social
Ma non è solo una questione di aziende che producono hardware o software. Tra le big dell’hi-tech c’è anche Facebook. La piattaforma social, sempre nei primi nove mesi del 2018, ha realizzato un fatturato di 38,9 miliardi di dollari. Di questi ben il 99% è stato generato dalla pubblicità. Un risultato, scrive la società, dovuto, oltre all’incremento degli utenti giornalieri attivi, alla crescita dell’advertising nel mobile (smartphone). Questo segmento, infatti, è arrivato a valere circa il 92% dei ricavi da pubblicità. Sono numeri inequivocabili che disegnano un modello di business fortemente concentrato (almeno finora) sull’advertising. Un contesto dove la reputazione del brand, e la sicurezza e trasparenza dei dati personali degli utenti, è essenziale. Se queste caratteristiche vengono messe in discussione il rischio aumenta.
Google, secondo gli esperti, è ben posizionata per sfruttare commercialmente l’intelligenza artificiale
La grande “G”
Infine Alphabet (la holding che controlla Google). Il gruppo di Mountain View, al 30/9/2018, vanta 97,54 miliardi di fatturato (erano 78,53 un anno prima). Anche in questo caso l’advertising recita un ruolo da protagonista. E tuttavia il suo peso è più limitato (85,7%). In particolare la grande “G”, secondo diversi esperti, è ben posizionata (analogamente ad Amazon e Microsoft) nella corsa allo sfruttamento dell’Artificial Intelligence. Sia per l’utenza retail che per quella industriale. Un atout, evidentemente, non da poco.