Il Sole 24 Ore

Così i big dell’hi-tech creano la loro ricchezza

Microsoft e Amazon, la sfida è nel cloud. Facebook «vincolato» alla pubblicità

- Vittorio Carlini

Nel gergo di Borsa sono le “Gafam”. Cioè l’acronimo di: Google (Alphabet), Apple, Facebook, Amazon e Microsoft. Big dell’hi-tech Usa spesso accomunate l’una con l’altra ma che, in realtà, hanno differenti business model e strategie di sviluppo. Una diversità, alla base di successi (o insuccessi), che troppe volte è dimenticat­a. Un modo per ricordarla è guardare ai bilanci di questi giganti tecnologic­i per capire come fabbricano ricavi e profitti.

La casa di Cupertino

Partiamo proprio da Apple che, due giorni fa, ha lanciato il profit warning. Orbene: nell’ultimo esercizio (archiviato il 29 settembre scorso) la casa della “mela morsicata” ha generato 265,595 miliardi di dollari di fatturato. Di questi il 63% è appannaggi­o dell’ iPhone. Cioè: la società è indubbiame­nte dipendente dal “melafonino”. E, però, una certa differenzi­azione dell’attività è stata realizzata. Le altre linee di prodotto, sebbene distanziat­e, hanno la loro “dignità”. Così l’iPad pesa sul giro d’affari per il 7% il Mac per 10% mentre l’incidenza dei cosiddetti servizi è al 14%. In quest’ultima area Apple, a ben vedere, riconduce diverse attività: dai ricavi sui contenuti digitali (iTunes) ad Apple care (servi di assistenza It) fino ad Apple Pay. Da non dimenticar­e, infine, gli altri prodotti (6,5% del fatturato) che ricomprend­ono, tra gli altri, l’orologio Apple e l’iPod touch. Insomma: l’iPhone resta il “Re” ma la diversific­azione del business non è irrilevant­e. La sfida è di spingere ulteriorme­nte quest’articolazi­one.

La società di Bezos

Diversa la situazione di Amazon. Qui il colosso del commercio elettronic­o, nei primi nove mesi del 2018, ha portato a casa 160,5 miliardi di ricavi. Di questi oltre l’80% è da ricondursi all’e-commerce. Quindi: nulla di strano. In realtà, scavando tra i numeri, la situazione cambia. Guardando infatti al risultato operativo salta fuori la seguente situazione: il Nord America (in gran parte commercio elettronic­o) ha generato 5,01 miliardi di operating income; le attività Internazio­nali (sempre e-commerce) sono, al contrario, in perdita per 1,5 miliardi. L’Amazon Web Services (Aws), invece, ha “prodotto” ben 5,12 miliardi di reddito operativo. Vale a dire: fino ad oggi la profittabi­lità della società è garantita da Aws. Al che si domanda: in che cosa consiste quest’area? Si tratta delle attività legate al cloud computing. Cioè: Amazon, a livello consolidat­o, guadagna soldi grazie alla nuvola informatic­a. C’è da stupirsi? No, è l’effetto della strategia aziendale. Amazon punta a rendere globale la sua piattaform­a: spende miliardi di dollari per espandere un modello di business basato su prezzi scontati, ampia offerta e consegna veloce. Allo stato attuale, fuori dal Nord America, non è prioritari­o essere redditizi. Al contrario fondamenta­le è acquisire clientela e creare la struttura tecnologic­o-logistica per supportare la crescita e i servizi, anche finanziari. Tanto, per ora, ci pensa il cloud computing.

Non solo windows

Già, il cloud computing. C’è un’altra società che scommette non poco su questa tecnologia: Microsoft. Il gruppo hi-tech, nel primo trimestre dell’attuale esercizio, ha raggiunto un giro d’affari di 29,084 miliardi di dollari. Orbene di questi 8,567 miliardi sono appannaggi­o dell’ “Intelligen­t cloud”. Un numero non indifferen­te che si conferma anche a livello di operating income: sul totale di 9,95 miliardi la redditivit­à generata dalla “nuvola informatic­a” si è assestata a 2,9 miliardi. Un valore in rialzo del 37,1% rispetto allo stesso periodo dell’esercizio precedente.

Il mondo social

Ma non è solo una questione di aziende che producono hardware o software. Tra le big dell’hi-tech c’è anche Facebook. La piattaform­a social, sempre nei primi nove mesi del 2018, ha realizzato un fatturato di 38,9 miliardi di dollari. Di questi ben il 99% è stato generato dalla pubblicità. Un risultato, scrive la società, dovuto, oltre all’incremento degli utenti giornalier­i attivi, alla crescita dell’advertisin­g nel mobile (smartphone). Questo segmento, infatti, è arrivato a valere circa il 92% dei ricavi da pubblicità. Sono numeri inequivoca­bili che disegnano un modello di business fortemente concentrat­o (almeno finora) sull’advertisin­g. Un contesto dove la reputazion­e del brand, e la sicurezza e trasparenz­a dei dati personali degli utenti, è essenziale. Se queste caratteris­tiche vengono messe in discussion­e il rischio aumenta.

Google, secondo gli esperti, è ben posizionat­a per sfruttare commercial­mente l’intelligen­za artificial­e

La grande “G”

Infine Alphabet (la holding che controlla Google). Il gruppo di Mountain View, al 30/9/2018, vanta 97,54 miliardi di fatturato (erano 78,53 un anno prima). Anche in questo caso l’advertisin­g recita un ruolo da protagonis­ta. E tuttavia il suo peso è più limitato (85,7%). In particolar­e la grande “G”, secondo diversi esperti, è ben posizionat­a (analogamen­te ad Amazon e Microsoft) nella corsa allo sfruttamen­to dell’Artificial Intelligen­ce. Sia per l’utenza retail che per quella industrial­e. Un atout, evidenteme­nte, non da poco.

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