Gela, la raffineria dell’Eni riparte green a febbraio
In dirittura d’arrivo il riassetto dell’impianto, investiti 237 milioni A regime la bioraffineria darà lavoro a 1.200 persone tra diretti e indotto
La bioraffineria potrà lavorare una vasta gamma di materie prime tra cui la frazione organica dei rifiuti solidi urbani.
La data non è stata ancora fissata ma ormai sembra certo che l’inaugurazione della nuova raffineria green dell’Eni a Gela avverrà entro la fine di febbraio. Ed è il primo grande traguardo nel percorso di reindustrializzazione dell’area industriale di Gela intrapreso con la firma del protocollo d’intesa firmato a novembre 2014 che prevedeva investimenti per 2,2 miliardi. La trasformazione della raffineria gelese da ciclo tradizionale a bioraffineria, i cui lavori sono stati avviati nell’agosto del 2017, è costata all’Eni 237 milioni e darà a regime lavoro a 400 persone che diventano 1.200 se consideriamo l’indotto.
Dalla firma del protocollo a ottobre 2018 Eni ha investito a Gela 914 milioni: oltre ai 237 milioni spesi per la bioraffineria (197 per l’impianto e 40 milioni per attività propedeutiche), sono stati spesi 510 milioni per l’attività di upstream, 150 milioni per il risanamento ambientale, 15 milioni per le attività di formazione nel campo della sicurezza e due milioni per gli studi di fattibilità sulla chimica verde. Tutti investimenti che hanno consentito in questi anni di mantenere adeguati livelli di occupazione in quest’area martoriata della Sicilia: nei primi 10 mesi del 2018 hanno lavorato oltre 1.800 persone dell’indotto con un picco superiore alle 2.000 unità negli ultimi mesi in relazione alle attività di cantiere del progetto della cosiddetta green refinery; per quanto riguarda l’occupazione diretta, il personale Eni in servizio a Gela nel 2018 era di 1.026 unità.
«L’impianto gelese - spiega Giuseppe Ricci, Chief refining & marketing di Eni con un passato da amministratore delegato della raffineria del nisseno - è più grande e flessibile di quello di Marghera. Per ottenere green diesel può lavorare una vasta gamma di materie prime: nella fase di rodaggio userà olio di palma, subito dopo tratterà oli di frittura e grassi animali e altri materiali di scarto». Va in questa direzione il primo impianto pilota per il recupero e la trasformazione della frazione organica dei rifiuti solidi urbani (Forsu) in un bio olio che servirà a produrre carburanti di nuova generazione avviato da Syndial. Un impianto pilota che ha una capacità produttiva di bio olio stimata in circa 70 chilogrammi al giorno e viene alimentato con 700 chili al giorno di rifiuti organici forniti dalla Società per la regolamentazione del servizio di gestione rifiuti di Ragusa. «Il progetto waste to fuel (combustibile dai rifiuti ndr) è un esempio tangibile del modello integrato di economia circolare di Eni - spiegano dall’azienda -: oltre al riutilizzo di aree dismesse e bonificate, valorizza le materie prime di scarto e le trasforma in una nuova materia energetica, senza alcun impatto sulla filiera alimentare ma altresì contribuendo a supportare i territori in cui Eni opera nel sistema di smaltimento dei rifiuti urbani». Un modello destinato a essere replicato anche in altre aree come ha spiegato lo stesso amministratore delegato dell’Eni Claudio Descalzi in una intervista rilasciata al Sole 24 Ore: «Il progetto waste to fuel di Gela è un esempio tangibile del modello integrato di economia circolare di Eni imperniato su tre pilastri (sinergia, simbiosi industriale e cambio culturale), e permetterà di acquisire le informazioni necessarie per la progettazione di nuovi impianti su scala industriale che Eni realizzerà in altri siti in Italia - ha detto l’ad della sociatà -: l’idea è di realizzare diversi impianti Forsu distribuiti presso le principali città e riuscire a eliminare una grande quantità di rifiuti organici, riutilizzandoli e fornendo un significativo contributo in termini di vantaggi ambientali alle grandi aree urbane in Italia e all’estero». Il nuovo impianto Syndial è solo un pezzo della strategia di Eni a Gela: «A Ragusa stiamo sperimentando una tecnologia nuova per la produzione delle alghe per avere biocarburante dalla loro spremitura - dice ancora Ricci -: la nuova tecnologia sta dando ottimi risultati e sposteremo l’impianto a Gela perché il clima è più soleggiato. In Tunisia stiamo effettuando una sperimentazione con la coltivazione di olio di ricino che potrebbe essere un’altra ottima carica per la bio raffineria».
Un sito quello gelese che lo stesso presidente della Regione siciliana Nello Musumeci ha recentemente indicato come esempio da seguire anche per altri poli industriali: «La riconversione del polo industriale di Gela è soltanto l’inizio di un modello che deve essere seguito tanto a Milazzo, quanto nel Siracusano - ha detto Musumeci -. Intanto la riconversione è stata sottoscritta ed è partita cinque mesi fa, grazie anche al contributo di dieci milioni del mio governo e 15 milioni da parte del Mise. Prima questi soldi non c’erano. Adesso si aspettano interventi anche da parte dei privati».
La firma dell’accordo di programma per la riconversione è stata un altro passo avanti importante su cui però il dibattito è ancora aperto. «Per riuscire a rivitalizzare un vasto territorio come è quello compreso nell’area di crisi - dice Alessandro Albanese, vicepresidente vicario di Sicindustria -, occorre innanzitutto fare delle scelte selettive e avviare lo sviluppo di nuovi modelli produttivi che nascano dal territorio e incoraggino le capacità di diversificazione delle imprese che facevano parte dell'exindotto. Senza una idea di sviluppo chiara qualsiasi risorsa economica non potrà mai innescare il processo virtuoso che è invece necessario. Resta auspicabile che la selezione delle schede progettuali dia priorità agli investimenti potenzialmente in grado di creare filiere produttive, prevedendo punteggi premiali per i progetti di reti d’impresa». Tema sollevato anche dai sindacati che hanno contestato la somma messa a disposizione per l’area di crisi complessa e hanno chiesto al governo regionale un incontro per fare il punto sull’accordo di programma che coinvolge 23 comuni delle province di Caltanissetta, Enna, Catania e Ragusa.