Due superstar cinesi nella campagna globale di Burberry
Il brand punta sulle attrici Zhao Wei e Zhou Dongyu
Cosa ricorderemo del 2018 pensando alla moda? Forse le cultural wars, come le ha definite qualcuno. In italiano potremmo parlare di scontri di civiltà e culture, ripensando a un famoso saggio economico di Samuel Huntington di qualche anno fa. Non stupisce che il 2019 si apra con l’annuncio di Burberry – forse il più iconico dei brand britannici – di una campagna con protagoniste le attrici cinesi Zhao Wei e Zhou Dongyu, star in patria, semi sconosciute in Occidente. Una campagna affidata a Ethan James Greencje che da ieri ha invaso le piattaforme di Burberry. Indicativo il titolo, Chinese New Year: forse sarebbe il caso di festeggiare il Capodanno europeo e americano, non quello cinese, previsto per il 5 febbraio, che aprirà l’anno del maiale (anche i segni zodiacali sono diversi a Pechino).
O forse la scelta del duo che guida Burberry, il direttore creativo Riccardo Tisci e il ceo Marco Gobbetti, coglie proprio l’esigenza di non favorire nuove cultural wars. Per ragioni idealistiche, volendo pensar bene (di sanguinose guerre è pieno il mondo); per ragioni economiche, volendo essere concreti.La Cina è già oggi il primo mercato mondiale del lusso, considerano gli acquisti fatti in patria e all’estero. Scontentare o – peggio – mancare di rispetto ai consumatori cinesi e alla consapevolezza che si va rafforzando in ognuno di loro di essere diventati il centro del mondo. I padroni del mondo, sostiene qualcuno. Cosa possa succedere urtando le sensibilità cinesi lo hanno scoperto ad altissimo prezzo Victoria’s Secret, la cui idea di “sexy” non sembra più essere adatta ai tempi, specie cinesi; Canada Goose, marchio di piumini boicottato dopo l’arresto, in Canada, della figlia del fondatore di Huawei. E, per tornare in Italia, Dolce&Gabbana, costretti ad annullare una sfilata a Shanghai perché accusati di razzismo. Non ci stancheremo mai di sottolineare l’assurdità dell’accusa: i cinesi non sono una razza. Tant’è: ora alla comunicazione, almeno nella moda, business globale per eccellenza, occorre applicare i principi della real politik. A scapito, forse, della creatività.