Approfondimento sulla riforma Ue sul diritto d’autore
A gennaio appuntamento decisivo per l’approvazione finale della direttiva: Youtube spinge per rivedere il testo, ma l’industria chiede il giusto riconoscimento
«Si tratta di una campagna dalla gravità inaudita. Che avrà anche conseguenze sulle prossime elezioni europee». Per Enzo Mazza, presidente della Fimi, l’associazione che rappresenta le major dell’industria musicale in Italia, la campagna #SaveYourInternet lanciata da Youtube, e abbracciata da tutta una serie di altri attori fra organizzazioni, aziende e privati, «rappresenta uno spartiacque». Da tempo Mazza è una delle voci più critiche nei confronti della piattaforma di videostreaming di Google. «Preciso – replica – che non penso che sia il diavolo. È lo strumento più utilizzato per ascoltare musica in streaming e remunera. Ma non quanto dovrebbe. E anche sul rispetto del copyright ci sono evidenti problemi. A questo serve la riforma Ue sul copyright in attesa di approvazione definitiva. Ma che Youtube ha deciso di combattere, anche con una campagna a dir poco discutibile».
Quello che si è aperto è un mese cruciale per la riforma Ue del copyright, con a metà gennaio un trilogo – Consiglio, Commissione e Parlamento sono chiamati a trovare un accordo in vista dell’adozione finale della direttiva – che sarà sostanzialmente l’ultimo possibile per arrivare al via libera definitivo alla riforma prima del rinnovo del Parlamento Ue. Di certo, è una partita serratissima, con una contrapposizione fra produttori di contenuti (favorevoli alla riforma) e piattaforme (contrari). A far da detonatore gli articoli 11 e 13 del testo. Quest’ultimo in particolare è sotto la lente di Youtube, visto che richiede a piattaforme di largo utilizzo di installare dei filtri (upload filter) che impediscano di caricare materiale protetto da copyright.
La campagna si è alimentata dei contributi dei creator, con video realizzati e rilanciati via Twitter utilizzando l’hashtag #SaveYourInternet. Con l’approvazione dell’articolo 13 della Riforma Ue, è la posizione di Youtube, potrebbero esserci gravi problemi per i creator. Youtube dovrebbe attuare politiche stringenti e conservative e questo impatterebbe inevitabilmente sull’apertura della piattaforma ai contributi. Questo il messaggio della versione più elaborata, ma in molti casi dai video dei creator è passata l’idea che a rischio sia la sopravvivenza stessa del web e di Youtube. È in questo quadro che emerge la distanza inconciliabile fra una Youtube che ritiene di remunerare e sostenere l’industria musicale e di tutelare il copyright con i suoi strumenti e chi ritiene invece che dire Youtube significhi dire “value gap”. Cosa non da poco visto che i numeri dell’ultimo rapporto Ifpi dicono che in Italia il 59% degli utenti attivi online usa servizi di videostreaming musicali (il 49% su Youtube e il 10% su altri siti di video streaming). «Youtube – aggiunge Mazza – paga 20 volte meno di Spotify per utente all’anno».
Affermazione, quest’ultima, contestata da Youtube come sottolineano i portavoce della piattaforma in Italia. Per i quali innanzitutto va evidenziato che «una cosa sono i servizi gratuiti e un’altra sono quelli in abbonamento. Da poco abbiamo attivato il servizio Youtube Music e le remunerazioni in questo caso sono assolutamente in linea». Sul tema value gap poi si fa riferimento a quanto segnalato da Lyor Cohen nel blog YouTube Artists nella parte in cui sottolinea che sarebbe necessario avere una maggiore trasparenza nella filiera per avere la disclosure a rendere noti i dati.
Detto questo vengono evidenziati, in risposta alle critiche sul value gap, tutta una serie di numeri. Innanzitutto i «5 miliardi di euro pagati all’industria musicale calcolando i soli introiti pubblicitari di cui oltre 1,5 miliardi negli ultimi 12 mesi». In più ci sono «oltre 2,5 miliardi di euro che Youtube ha pagato ai titolari dei diritti che hanno monetizzato l’utilizzo dei contenuti tramite “Content ID”, il nostro strumento per la gestione dei diritti».
Quanto invece alla tutela del copyright ci sono «3 miliardi di Url rimosse dal motore di ricerca per violazione del copyright» e «più di 10 milioni di annunci pubblicitari che Google non ha approvato nel 2017 perché sospettati di violazione del copyright o perché rimandavano a siti che violavano il copyright». Ora, è la posizione di Youtube, la riforma Ue pone in capo alla piattaforma obblighi insostenibili senza impattare sull’attività dei creator come sull’utilizzo, ora esistente, degli strumenti per tutelare il copyright. Insomma posizioni inconciliabili. Combattute a colpi di annunci. Anche via Youtube.