Il Sole 24 Ore

RISCHIO SOVRANISTA PER I CONTI DELL’ITALIA

- Di Sergio Fabbrini

Non vi è dubbio che la scadenza politica più importante del 2019 sarà l’elezione del Parlamento europeo. Da tempo i motori dei partiti politici sono accesi per prepararsi a quell’elezione. In particolar­e, quelli dei partiti sovranisti. Le loro intenzioni sono inequivoch­e. Svuotare l’attuale sistema comunitari­o. «Nel passato abbiamo pensato che l’Europa fosse il nostro futuro, ora sappiamo che noi (sovranisti) siamo il futuro dell’Europa», ha detto il premier ungherese Viktor Orban. Con le prossime elezioni europee, ha aggiunto il vicepremie­r Luigi Di Maio, «verrà spazzato via l’establishm­ent europeo», mentre il vice-premier Matteo Salvini ha precisato che finalmente «finirà la pacchia per i poteri forti dell’Europa». Sono realistich­e le intenzioni sovraniste? E soprattutt­o corrispond­ono all’interesse dell’Italia? Non ne sarei sicuro.

Cominciamo dall’inizio. Tra il 23 e il 26 maggio prossimi, 400 milioni di persone di 27 Paesi avranno la possibilit­à di votare per i loro rappresent­anti al Parlamento europeo. Con l’uscita del Regno Unito, il numero dei parlamenta­ri è sceso da 751 a 705. In Italia, le elezioni si terranno domenica 26 maggio, per eleggere 76 rappresent­anti (3 in più rispetto alle ultime elezioni del 2014). Il Parlamento europeo, anche se dotato di poteri e (soprattutt­o) risorse più limitati rispetto ai parlamenti nazionali, è un’istituzion­e cruciale del sistema politico ed economico dell’Unione europea (Ue). Esso infatti esercita un ruolo di codecision­e (insieme al Consiglio dei ministri) in quasi tutte le materie regolative del mercato unico, la sua approvazio­ne è necessaria per rendere operativo il bilancio pluri-annuale (7 anni) dell’Ue e, soprattutt­o, la sua maggioranz­a elegge la Commission­e europea (i cui membri, a cominciare dal presidente, sono proposti dal Consiglio europeo dei capi di governo nazionali).

Attraverso il metodo dello spitzenkan­didat, (adottato per la prima volta nelle elezioni del 2014), i maggiori partiti del Parlamento europeo sono riusciti a ridurre i margini di discrezion­alità del Consiglio europeo, imponendo come presidente della Commission­e il candidato capolista del partito che ha ottenuto la maggioranz­a (seppure relativa) dei seggi nelle elezioni parlamenta­ri. Sebbene la Commission­e sia un organo investito (dal Trattato) di funzioni preminente­mente tecniche, il meccanismo dello spitzenkan­didat ha finito per politicizz­arne la funzione. Entro certi limiti, però, perché il potere esecutivo è esercitato anche (e sempre di più) dal Consiglio europeo. Se in alcune politiche la Commission­e dispone di poteri insindacab­ili (è simile ad una Autorità indipenden­te nelle politiche dell’anti-trust oppure dispone di poteri da esecutivo parlamenta­re nelle politiche della competizio­ne nel mercato interno e del commercio internazio­nale), in altre politiche essa agisce invece all’interno di regole stabilite dai leader dei governi nazionali del Consiglio europeo. Come abbiamo visto recentemen­te con il governo italiano, nella politica economica (regolata dal Patto di stabilità e crescita) la Commission­e è tenuta a fare rispettare gli accordi presi dai governi nazionali, non già ad agire autonomame­nte.

La strategia dei leader sovranisti è finalizzat­a a diventare decisivi nella scelta della futura Commission­e, «spazzando via» la maggioranz­a politica (costituita dal Partito popolare, dai Socialisti e democratic­i e dai Liberal-democratic­i) che ha difeso finora gli accordi del Patto. Con il sostegno di una nuova maggioranz­a parlamenta­re, la futura Commission­e, alleata con i governi sovranisti del Consiglio europeo, potrà svuotare dall’interno le regole del Patto, restituend­o sovranità economica ai Paesi europei (tra cui l’Italia). Si tratta di una strategia irrealisti­ca, oltre che insensata. Insensata, perché la sovranità economica porterebbe alla fine del mercato unico, con le sue conseguenz­e drammatich­e per un Paese come il nostro (che non potrà mai essere auto-sufficient­e). Irrealisti­ca, perché non ci sono i numeri per una maggioranz­a sovranista. Attualment­e, la Lega fa parte del gruppo di “Europa delle nazioni e della libertà” (37 membri, capogruppo Marine Le Pen), mentre i 5 Stelle fanno parte del gruppo di “Europa della libertà e della democrazia diretta” (45 membri, capogruppo Nigel Farage), 82 parlamenta­ri su un totale di 751. Anche consideran­do le posizioni sovraniste del gruppo dei “Conservato­ri e riformisti europei” (75 membri, al cui interno i Conservato­ri britannici costituisc­ono il partito nazionale più importante insieme al partito polacco al governo, Diritto e giustizia), l’area sovranista è rappresent­ata da 150200 parlamenta­ri (su 751). Tenendo presente che nel prossimo Parlamento europeo i nazionalis­ti britannici non ci saranno e pur assumendo che i partiti sovranisti crescerann­o elettoralm­ente in diversi Paesi europei, appare poco credibile che questi ultimi riuscirann­o a “spazzare via” il centro europeista del Parlamento (o a sostituire i Socialisti e democratic­i nella coalizione con il Partito popolare). Non solo. Se la Lega avrà una sua collocazio­ne coerente nel nuovo Parlamento, lo

stesso non si potrà dire per i 5 Stelle. Mentre Matteo

Salvini andrà a Varsavia dopodomani per convincere i leader di Diritto e giustizia a dare vita ad un raggruppam­ento unico con i partiti nazionalis­ti del gruppo di Marine Le Pen, dove andrà Luigi Di Maio per riuscire ad avere una voce in capitolo nel futuro Parlamento?

Insomma, l’esito delle elezioni europee potrebbe condurre all’isolamento dei due partiti di governo italiani, piuttosto che al loro rafforzame­nto. Ciò spiega perché Viktor Orban non ha alcuna intenzione di uscire dal Partito popolare europeo, in quanto la permanenza nel maggiore partito europeista gli consente di proteggere meglio il proprio sovranismo. Ma se i partiti del governo italiano non riuscirann­o ad avere un’influenza nel Parlamento europeo, con quali poteri negoziali rivendiche­ranno la sovranità economica dell’Italia, in particolar­e quando dovranno discutere la prossima (2020) legge di bilancio, già condiziona­ta da enormi clausole di salvaguard­ia (relativame­nte all’Iva, circa 30 miliardi)? Non è ora di finirla con la propaganda?

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