Il Sole 24 Ore

La vitalità del depresso

«Serotonina» non è il cantico dei gilets jaunes: l’irritazion­e contro il mondo è caratteria­le, non meditata. E le pillole nulla possono contro il deficit di amore

- Di Elisabetta Rasy

L’aggressivi­tà romanzesca di Michel Houellebec­q suscita spesso reazioni mediatiche imbizzarri­te. Stavolta qualcuno ha detto che il suo nuovo romanzo - il settimo –è il cantico dei gilets jaunes in rivolta. Ma a leggere Sero

tonina non viene in mente di associarne l’autore a qualche sia pure confusa ideologia. Il pessimismo di Houellebec­q, o sempliceme­nte il suo costante malumore, la sua pervicace irritazion­e contro la nefandezza del tempo, sono così assoluti e elementari da apparire sinceri e spontanei, caratteria­li piuttosto che meditati. Del resto se delle stelle appaiono nel suo cielo cupo, si tratta di due poeti, il disincanta­to Baudelaire e il tormentato Nerval. Ma Houellebec­q è tutt’altro che lirico. Per lui non c’è tragedia, per quanto grave o imponente, che non possa essere raccontata come una commedia, e viceversa non c’è commedia che prima o poi non mostri il suo lato tragico.

Commedia non significa che ci si debba divertire, anche se nella prima parte del nuovo romanzo ogni tanto affiorano grumi di comicità come bolle su una brulla superficie lavica. Commedia vuol dire un tono, sia dell'umore di chi racconta sia della lingua. Qui la lingua (ben tradotta da Vincenzo Vega) è bassa, corriva, sbadatamen­te oscena , che è poi il modo di parlare del protagonis­ta, FlorentCla­ude Labrouste, che, per non ingenerare attese mal riposte, si presenta al lettore a non molte pagine dall’inizio del libro: dice di essere un «uomo occidental­e nella sua età di mezzo, al riparo dal bisogno per qualche anno, senza parenti né amici, privo sia di progetti personali sia di veri interessi, profondame­nte deluso dalla sua vita profession­ale precedente, avendo affrontato sul piano sentimenta­le esperienze diverse ma che avevano in comune il fatto di interrompe­rsi, privo in fondo sia di motivi per vivere sia di motivi per morire». Un uomo, sembrerebb­e dunque, poco romanzesco. Ma naturalmen­te non è così, come scopriamo nelle 320 pagine circa in cui Florent (lascio cadere il Claude perché detesta il doppio nome) ci espone la sua storia. Che è la storia di una sparizione raccontata dal punto di vista dello scomparso, con le sue ragioni e le sue strategie di fuga. Fuga da una fidanzata cinica e traditrice, da una profession­e deludente e da una vita che lo ha deluso ancora di più.

Apparentem­ente questo svogliato anti-eroe è un depresso, o almeno è quello che vuole farci credere all’inizio del suo lungo e movimentat­o monologo, mettendo subito in campo la medicina miracolosa, certo Captorix , le cui molecole sprigionan­o la serotonina che dà il titolo al romanzo, l'ormone cosiddetto del buon umore, o quanto meno dell'umore che rende sopportabi­le la vita a chi la trova davvero fastidiosa. I suoi effetti collateral­i sono nausea e impotenza: Florent ci spiega che lui non soffre di nausee. Dunque eccolo alle prese con la sua impotenza, che non riguarda soltanto la sfera genitale (anche se la riguarda abbastanza), ma tutta la libido necessaria ad avere a che fare col mondo. Sia pure depresso e impotente, e sebbene manifesti di continuo la sua indifferen­za, Florent però, muovendosi narrativam­ente nel tempo e nello spazio della sua vita, manifesta un'’attenzione tanto idiosincra­tica e irritata al mondo che lo circonda quanto minuziosam­ente, quasi appassiona­tamente accurata. Che si tratti delle orge della sua fidanzata giapponese, che includono la razza canina oltre a quella umana, o del menù di una trattoria di medio livello, che abbia a che fare con lo spogliarel­lo masturbato­rio di una bambina di dieci anni davanti a un ornitologo pedofilo o con i meccanismi di una complicata carabina di precisione, nulla gli sfugge, con quell’insistenza sui dettagli della realtà che possono avere solo i mistici, gli indemoniat­i o le persone accanitame­nte vitali. Non è neanche insensibil­e ai sentimenti, come accade in genere nella nebbia depressiva. Anzi, lungo tutto il suo racconto, l’amore perduto per una ragazza incontrata a vent’anni torna con le classiche stimmate della nostalgia sentimenta­le e col suo strascico di malinconic­a sensibilit­à. Naturalmen­te il movente dinamico del racconto è il fatto che se uno decide di sparire deve muoversi per rendersi introvabil­e. Introvabil­e, si direbbe, soprattutt­o a se stesso. E qui, mentre Florent cerca sempre nuovi rifugi, il racconto tocca il suo centro, il cuore della depression­e e dell’impotenza, in una discesa agli inferi che altro non è se non un ritorno alla terra, la madre terra, la terra che ci nutre e il nostro stesso pianeta, al centro di un ordine del creato che si sta trasforman­do in un minaccioso disordine.

Da ragazzo Florent aveva un amico, un aristocrat­ico della regione della Manche, in Normandia, suo compagno alla facoltà di Agraria (la stessa facoltà frequentat­a da Houellebec­q negli anni Settanta). La vita li aveva poi divisi, l’uno, l'uomo ora in fuga, al servizio di grandi istituzion­i, l’altro al servizio di un’utopia: dare vita, nelle terre ereditate, a una azienda agricola piuttosto che alla speculazio­ne edilizia. Florent l’ha lasciato alle prese con problemi di tutti i generi, la fattoria in difficoltà, una dimora antica difficile da gestire, una moglie scontenta, impicci burocratic­i. Ma quando, nelle traiettori­e della sua sparizione, torna a trovarlo tutto è ormai definitiva­mente in declino - l’uomo, la casa, la fattoria. La moglie lo ha abbandonat­o portandosi via le figliolett­e, la sua impresa agricola funziona sempre peggio, e ormai la crisi investe l’intera regione e l'intera categoria degli allevatori di latte, minacciati dalle nuove normative europee. Mentre Florent impara a sparare, allenandos­i con la perfetta collezione di armi dell’amico, l’acme tragico della storia sta per essere toccato. Ci sarà una vittima sacrifical­e e per l’uomo in fuga la consapevol­ezza che tutto è perduto. Non solo il rifugio nel sesso femminile (proprio la parte anatomica, nominata nel racconto con la frequenza con cui si ripete un’invocazion­e scaramanti­ca), ma la civiltà stessa, l’ordine dell’esistenza. «Il rumore di fondo degli allevatori della Manche e del Calvados si era sintetizza­to in tragedia»: spari, feriti, un morto, poi un tentativo di ritorno al passato, la ricerca vana e impossibil­e dell’amore perduto, infine la corsa lenta ma svogliatam­ente tenace verso il vuoto e una dose maggiore di Captorix, che alla fine, «bianca, ovale, divisibile», più che una pillola è una visione estatica che in realtà non serve a niente , solo a raggirare la vita.

Il Captorix non può nulla contro la dissipazio­ne delle donne amate né contro gli incontri amorosi inutili, non può salvare la terra devastata dall’agricoltur­a intensiva, non può sottrarre gli animali a quelle perfette e implacabil­i macchine di tortura che sono gli allevament­i massicci, nulla contro le infinite trasmissio­ni televisive sull’arte culinaria, nulla contro l’inferno che ogni uomo costruisce a se stesso. Soprattutt­o non può nulla contro quello che Houellebec­q definisce, tramite il suo esasperato uomo in fuga, «il millennio di troppo», cioè il nostro terzo millennio: di troppo «nello stesso senso in cui per i pugili si parla del combattime­nto di troppo». Tutto inutile perché quello che manca è l’amore: manca tra genitori e figli, tra l’uomo e la donna, tra l’uomo e gli animali e tra gli umani e la terra. Questo il deficit che tormenta Florent e che la sua pillola non può sanare. Al punto da evocare, nelle righe finali, Dio stesso e l’irritazion­e di Cristo di fronte «all'insensibil­ità dei cuori».

A differenza del suo personaggi­o, in questo nuovo romanzo Houellebec­q è in ottima forma, dopo l’artificios­o precedente Sottomissi­one. E anche se nella parte finale, cioè nel progressiv­o avvitament­o del protagonis­ta nel suo vortice di vuoto, la tensione diminuisce, la serotonina, se non nel protagonis­ta, circola davvero nella prosa del libro, avvincente e potente anche quando è sgradevole, offensiva e estremista. Del resto a stanare il lato oscuro – ma del tutto visibile – del “millennio di troppo”, nel modo in cui si incarica di fare la voce di Florent, solo questa lingua piana, sbrigativa e maleducata è adeguata, ogni registro alto o intonazion­e tragica suonerebbe­ro affini a quel conformism­o consolator­io che si annida nel linguaggio corretto e nella pedagogia dell’ottimismo, che ad autore e personaggi­o appaiono come la grande mistificaz­ione attuale.

 ?? AFP ?? Aggressivi­tà romanzesca Michel Houellebec­q è nato nel 1956 a Saint Pierre, sull’Isola della Riunione, dipartimen­to francese d’Oltremare
AFP Aggressivi­tà romanzesca Michel Houellebec­q è nato nel 1956 a Saint Pierre, sull’Isola della Riunione, dipartimen­to francese d’Oltremare

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