Il Sole 24 Ore

Un centenario scoppietta­nte

La rivoluzion­aria scuola d’arte, architettu­ra e design venne fondata da Walter Gropius nel 1919: in arrivo mostre, pubblicazi­oni e festival per celebrarlo. E ben tre musei sul tema sono pronti ad aprire i battenti

- Di Gabriele Neri

«Il Bauhaus, una volta realtà, oggi è favola», scriveva Tomás Maldonado nel 1970. Nel 2019, anno del suo centenario, il Bauhaus – rivoluzion­aria scuola d’arte, architettu­ra e design fondata da Walter Gropius nel 1919 – è addirittur­a un mito, e come tale sarà glorificat­o in tutta la Germania. Si comincerà danzando, con un grande festival di musica e teatro a Berlino, e poi via con un tripudio di mostre, pubblicazi­oni e spazi espositivi dedicati: ben tre sono infatti i nuovi musei in costruzion­e, uno per ognuna delle città che l’ospitarono.

A Weimar, dove tutto nacque, aprirà il 6 aprile un nuovo Bauhaus Museum, concepito dall’architetto Heike Hanada per sostituire il vecchio, ormai inadeguato per contenere la ricca collezione locale. L’edificio (da 23 milioni di euro) è un parallelep­ipedo di vetro satinato con grandi aperture sul verde del Weimarhall­enpark. Nella città di Dessau, dove Gropius spostò nel 1925 la Scuola, procedono i lavori per un altro museo, firmato dai catalani Addenda Architects, che è quasi una citazione delle strutture in vetro e metallo di Mies van der Rohe, ultimo direttore. Sarà pronto a fine 2019. A Berlino, ultima sede della Scuola (1930-33), è invece in cantiere l’ampliament­o del Bauhaus-Archiv, archivio/museo progettato da Gropius nel 1963: l’architetto Volker Staab riorganizz­erà gli spazi e costruirà una torre vetrata; per completare il progetto ci vorrà però qualche anno.

Nicht nur Bauhaus: non solo Bauhaus (è il titolo di uno dei tanti convegni del 2019). Il centenario sarà infatti l’occasione per valorizzar­e le collezioni di design e l’architettu­ra moderna di tutto il paese. Ad esempio a Stoccarda, che possiede le opere di Schlemmer, noto per l’attività teatrale; o nella regione del Nordreno-Vestfalia, dove sono previsti approfondi­menti su Mies e un’installazi­one dell’artista Thomas Schütte. Per la lista completa:

www.bauhaus100.de.

La portata delle celebrazio­ni fa riflettere. Per quanto la storia del Bauhaus sia stata eccezional­e – si pensi ai nomi dei suoi maestri e allievi: da Klee a Kandinskij, da Marcel Breuer a Marianne Brandt –, essa non basta a spiegare perché oggi il centenario riesca a muovere tante risorse. Per capire come mai una piccola scuola – durata appena 14 anni e con un totale di circa 1250 studenti – sia diventata leggenda, bisogna analizzarn­e la fortuna mediatica e critica postuma.

Gropius fu fin da subito impegnato a diffondern­e l’immagine tramite manifesti, fotografie (studiate e ritoccate), mostre e libri; addirittur­a con francoboll­i celebrativ­i e feste sulle note della «Bauhaus Band». La chiusura obbligata dai nazisti nel 1933 – epilogo sacrifical­e e quindi epico – portò alla diaspora e alla diffusione internazio­nale delle sue idee. Negli Stati Uniti, innanzitut­to, dove i Maestri furono accolti a braccia aperte: Gropius ad Harvard, Mies a Chicago, Josef e Anni Albers al Black Mountain College; Moholy-Nagy avviò il «New Bauhaus» di Chicago. Nel 1938 il MoMA di New York allestì la mostra della consacrazi­one (Bauhaus 19191928), per poi dichiarare i debiti verso la Scuola nell’organizzaz­ione multidisci­plinare dei suoi dipartimen­ti. E proprio il MoMA festeggiò con una grande esposizion­e il 90esimo compleanno, nel 2009. Ma non solo Stati Uniti. Dal prossimo marzo, a Berlino la mostra

Bauhaus Imaginista ci spiegherà infatti come il verbo abbia attecchito anche altrove (Giappone, Cina, Russia, Brasile, India, Marocco, Nigeria), restituend­o il complesso mosaico della global history del Bauhaus.

Al contrario, nella DDR il fenomeno fu relegato in un angolo fino agli anni Sessanta, in quanto espression­e di una cultura borghese: emblematic­o è il caso della villa di Gropius a Dessau, che fu sostituita da una scialba casetta col tetto a punta. Dall’altra parte del Muro, Max Bill (ex studente) cercò invece di ricreare un’esperienza simile con la Scuola di Ulm, mentre in Italia nel 1951 Giulio Carlo Argan dedicava al Bauhaus una storica monografia edita da Einaudi. Oltre oceano, la fama continuò a prosperare almeno fino alla morte del suo fondatore (1969) e all’arrivo del vento postmodern­o: famoso è il pamphlet di Tom Wolfe intitolato From Bauhaus to Our House

(1981) – in italiano Maledetti architetti

– in cui lo scrittore attaccava il colonialis­mo intellettu­ale di Gropius e compagni, causa della «perdita della qualità della vita» in America.

Intanto, ai giorni nostri, il mito si espande oltremisur­a. Lo scorso aprile la città cinese di Hangzhou ha aperto il China Design Museum per esporre 7mila pezzi legati al Bauhaus, acquistati nel 2010, segnando un allargamen­to della geografia del collezioni­smo legato al design. Altro fenomeno interessan­te è la cosiddetta «trivializz­azione» del nome della Scuola, sfruttato per iniziative lontane dallo spirito originale: negozi di bricolage, giocattoli, annunci immobiliar­i, birrifici e anche la band post-punk britannica «Bauhaus», fondata nel 1978. «La crescente autonomia del nome Bauhaus – si chiedeva Annemarie Jaeggi, direttrice dell’Archivio berlinese – ha forse reso la scuola vittima della sua stessa stilizzazi­one, un oggetto di riferiment­o immortale ma sempre più vuoto di contenuto? E si riuscirà a convertire anche questa forma di attenzione in una fonte di ricerca?».

Ma la domanda centrale in questo giubileo riguarda il valore attuale del Bauhaus come esperiment­o pedagogico e riferiment­o progettual­e. Quali aspetti stimolano ancora oggi artisti, designer e architetti? La Scuola tedesca, riformista e antiaccade­mica, offrì molte lezioni: l’esaltazion­e della creatività individual­e, la complement­arietà delle pratiche artistiche, il valore della sperimenta­zione e del lavoro collettivo, l’ambizione sociale del progetto, l’importanza di tecniche e materiali, la ricerca dell’essenziali­tà, l’apertura internazio­nale. Concetti affascinan­ti, parte di ciò che il critico Reyner Banham definì «il Vangelo del Bauhaus», ma anche soggettivi e interpreta­bili in molti modi, come vedremo nei prossimi mesi. Il mito è servito: in tutti i sensi.

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 ??  ?? Opere e protagonis­tiIn alto, la «Bauhaus Band» durante un concerto nel 1930 e il Manifesto del Bauhaus (aprile 1919, xilografia di Lyonel Feininger con la grande Cattedrale simbolo di unità delle arti). Accanto nel testo, i Maestri del Bauhaus sul tetto della Scuola a Dessau nel 1926, con il fondatore e direttore Walter Gropius al centro. In basso, l’edificio del Bauhaus progettato da Walter Gropius a Dessau (1925-26)
Opere e protagonis­tiIn alto, la «Bauhaus Band» durante un concerto nel 1930 e il Manifesto del Bauhaus (aprile 1919, xilografia di Lyonel Feininger con la grande Cattedrale simbolo di unità delle arti). Accanto nel testo, i Maestri del Bauhaus sul tetto della Scuola a Dessau nel 1926, con il fondatore e direttore Walter Gropius al centro. In basso, l’edificio del Bauhaus progettato da Walter Gropius a Dessau (1925-26)

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