DOPO IL RALLY PER LE BORSE RESTA LA CAUTELA
La settimana finanziaria si è chiusa con il botto dopo uno dei peggiori dicembre
della storia americana. Ma è ancora troppo presto per parlare di inversione di tendenza.
La settimana finanziaria si è chiusa con il botto (le Borse europee e Wall Street hanno guadagnato nell’ultima seduta oltre tre punti percentuali). Una boccata d’ossigeno dopo uno dei peggiori “dicembre” della storia americana che ha archiviato un 2018 in rosso per tutti i listini, a tutte le latitudini (fatta eccezione per quella brasiliana).
A questo punto è lecito chiedersi se il ritrovato entusiasmo dimostrato dagli investitori sia destinato a proseguire e abbia il potenziale di invertire il trend ribassista scattato in autunno. Per capirlo proviamo ad analizzare il perché e il percome. Il rally di venerdì è stato innescato da una serie di buone notizie. A cominciare dalle parole del governatore della Federal Reserve, Jerome Powell, che ha lasciato intendere che il 2019 potrebbe essere un anno di tregua sul fronte dei tassi mettendo quindi in forte dubbio le aspettative di altri due rialzi (che porterebbero a 12 il numero delle strette complessive attuate da dicembre 2015). Powell - consapevole, come sosteneva uno dei suoi predecessori Ben Bernanke, che la «la politica monetaria è fatta per il 98% da parole» - ha contribuito a distendere un po’ i nervi tesi dei mercati che aspettavano proprio una scossa del genere per uscire dal territorio di ipervenduto in cui erano piombati. La seconda buona notizia che ha calmato gli investitori riguarda le indiscrezioni su un incontro che si dovrebbe tenere tra domani e martedì tra Usa e Cina sul fronte dazi. Sul tema - che al momento resta uno dei market mover ribassisti - cresce l’ottimismo anche dopo le recenti parole del presidente degli Usa Donald Trump: «I mercati azionari hanno avuto un intoppo a dicembre, ma torneranno a salire una volta che gli accordi commerciali saranno risolti».
Al Powell più “colomba” e agli spiragli su una risoluzione della guerra commerciale si è poi aggiunto l’ottimo dato sul lavoro degli Usa (a dicembre sono stati creati 312mila posti rispetto ai 184mila attesi con una crescita dei salari orari dello 0,4%) che rispecchia un’economia in salute.
Queste tre buone notizie però potrebbero non essere sufficienti per riportare completamente il sereno sulle classi di investimento. Gli addetti ai lavori, infatti, preferiscono mantenere un atteggiamento cauto. «Dire che siamo di fronte a un punto di svolta è certamente prematuro - spiega Vincenzo Longo, strategist di Ig -. La reazione di venerdì è stata accentuata da fattori tecnici, fra cui le ricoperture di posizioni corte, e da movimenti speculativi. Ma sono ancora numerosi i campanelli d’allarme che dovrebbero invitare alla cautela. Giovedì è stato reso noto l’indice manifatturiero Ism di dicembre negli Usa: un dato particolarmente brutto (è sceso a 54,1 punti dai 59,3 di novembre, ndr) che anticipa che l’attività economica rallenterà nei prossimi mesi. Questo dato, in quanto prospettico, è più importante per gli investitori rispetto alla fotografia di come è andato il mercato del lavoro a dicembre».
Gli addetti riflettono poi sul processo di normalizzazione dei tassi avviato dalla Fed che spingerà, prima o poi, anche le altre banche centrali ad andarle a ruota. E che non gioca a favore del mercato azionario. «Il triennio 2015-2017 è stato eccezionale per le Borse grazie a politiche monetarie ultraespansive - commenta un trader -. Ma adesso stiamo procedendo nella direzione opposta. La liquidità anziché essere immessa viene ritirata. Ogni mese la Fed drena dai mercati 50 miliardi sterilizzando Treasury e titoli Mbs».
Detto questo, è chiaro che un eventuale accordo anticipato sui dazi darebbe un’ulteriore scossa positiva ai mercati. Ma i presupposti generali invitano alla prudenza. Insomma, non basta un rimbalzo o un’incornata per fare un “Toro”.