Trump e Fed, la tregua è armata
La lunga crescita, il rischio recessione e le incognite sul futuro
Tregua armata fra Trump e la Fed. La banca centrale ha assunto una posizione attendista sul tema tassi. Pesano la fragile congiuntura, gli scontri interni e quelli con la Cina. L’espansione dura da molto tempo e crescono gli esperti che temono una fase di recessione.
Un’espansione americana che sopporta e reagisce agli strali di età e avversità. Ma che, ormai giunta al decimo anno, desta timori sul futuro: dovrebbe frenare dal 3% del 2018 a qualcosa più del 2% nel 2019 forse scivolando - parola di Goldman Sachs sotto quella soglia verso fine anno. Segno delle sfide aperte, tra gli esperti sono lievitate le chance della grande “R”, di una recessione, per quanto minoritarie: al 20% quest’anno e al 40% entro due anni. I continui exploit dell’occupazione incoraggiano. Di sicuro però l’economia deve fare i conti con incognite che, quando salgono alla ribalta, mettono in subbuglio le piazze finanziarie, dove bruschi cali potrebbero generare contagi.
Fragilità del quadro globale, a partire dal “motore” cinese. Tensioni commerciali irrisolte, soprattutto tra Washington e Pechino. Battaglie politiche che erodono la stabilità del Paese, quale lo shutdown parziale del governo federale per l’impasse su budget e immigrazione senza che negoziati tra Casa Bianca e opposizione democratica, proseguiti ieri, abbiano trovato facili soluzioni. Dopo due settimane ha un impatto limitato, parola di Moody’s, ma se si protrarrà a febbraio si farà sentire, mettendo a rischio buoni pasto per 40 milioni di americani poveri e rimborsi delle tasse per 140 miliardi di dollari.
In tutto questo, preoccupa la tregua armata tra Casa Bianca e Federal Reserve. Il risentimento di Donald Trump per il chairman Jerome Powell, accusato di aver già alzato troppo i tassi e di danneggiare la crescita, può riesplodere in ogni momento, ancor più se l’espansione perderà colpi e Trump cercherà un capro espiatorio. La Casa Bianca prepara un faccia a faccia per un disgelo davanti alle minacce del presidente di cacciare Powell e alla secca risposta ieri del chairman che non si dimetterebbe mai; uno stesso meeting oggi potrebbe tuttavia apparire un’indebita ingerenza sulla Banca centrale e la sua credibilità.
I dilemmi della Federal Reserve
LE PROSPETTIVE DELL’ECONOMIA AMERICANA
Tra battaglie politiche e tensioni globali
Segnali contrastanti da settori delicati come il manifatturiero e l’immobiliare, epicentro della crisi 2008
Oltre la Borsa. Indipendente dalle peripezie borsistiche (nella foto il Nasdaq), i protagonisti della new economy, da Amazon a Google, attuano progetti di espansione e inseguono nuove frontiere.
La Fed sta oggi assumendo una posizione più attendista, destinata a rinviare al momento nuove strette sui tassi di normalizzazione della politica monetaria. Powell ha inaugurato un’era di «pazienza», ma se questo ha rincuorato mercati spaventati dallo spettro di immediati rovesci, rivela contemporaneamente gli interrogativi sulla direzione dell’economia. Altri esponenti Fed hanno indicato la medesima rotta, da Robert Kaplan di Dallas a Loretta Mester di Cleveland, escludendo strette nella prima parte dell’anno. E la composizione dei vertici della Banca centrale nel nuovo anno è adatta alla maggior prudenza. Entreranno a rotazione tra i membri votanti del Fomc, il comitato esecutivo di politica monetaria della Banca centrale, quattro esponenti: un falco dichiarato sui tassi, Esther George di Kansas City, e tre invece più disponibili a basso costo del denaro o aperti a rapida flessibilità. I volti nuovi del Fomc - tutti veterani Fed - sono James Bullard di St. Louis, la colomba più riconoscibile, e i suoi colleghi Eric Rosengren di Boston e Charles Evans di Chicago. La Fed non aveva però fatto mistero che, idealmente, avrebbe preferito alzare ancora due volte i tassi nel 2019 per ricaricare il suo arsenale anti-crisi.
I dubbi sul manifatturiero
A tenere i riflettori puntati sulle valutazioni e il ruolo della Fed sono segnali contrastanti in arrivo dall’economia, in particolare da settori delicati quali manifatturiero e immobiliare. Il manifatturiero ha creato in dicembre posti di lavoro a buon passo - 32.000, parte d’un boom di oltre 300.000 nuovi occupati capace di sostenere oggi consumi che rappresentano il 70% dell’economia. L’indice Ism dei direttori acquisti delle aziende, barometro dell’attività futura, è però scivolato il mese scorso più del previsto, la caduta maggiore dal 2008 ai minimi da due anni, nonostante a quota 54,1 continui a mostrare un’espansione. Per capire la svolta: solo in agosto era salito ai massimi in 14 anni. Le aziende del settore, assieme a quelle tecnologiche, sono inoltre tra le più vulnerabili a un’escalation di protezionismo e dazi in assenza di intese tra Washington e Pechino: metà delle imprese sondate per l’Ism denuncia un rischio commercio. Tanto più che tramonta lo stimolo della riforma fiscale repubblicana: studi dell’Università del Michigan vedono una sua progressiva sparizione tra il 2019 e il 2020 e l’Associazione di economisti di business Nabe ha ridimensionato il suo impatto sugli investimenti, che dovrebbero frenare da quasi il 7% al 4,3% nel 2019.
La debolezza immobiliare
Sensibile ai tassi d’interesse e epicentro del collasso del 2008, può diventare nuovamente un tallone d’Achille. Sintomi di debolezza in prezzi e vendite di abitazioni, partiti da zone calde di crescita quali Denver, Seattle o Dallas, sono ora affiorati in regioni quali Phoenix e Las Vegas tuttora lontane da livelli pre-crisi. Su scala nazionale le vendite di case a novembre hanno sofferto il nono calo consecutivo (su base annuale) e il peggiore in sette anni, pari al 7%. Le nuove costruzioni sono aumentate in novembre del 3,2%, ma dopo due flessioni consecutive e con il segmento cruciale delle case mono-familiari ai minimi da oltre un anno. «La debolezza persisterà nel 2019», ha previsto JP Morgan.
Ottimisti e pessimisti
Gli economisti, a conti fatti, sono divisi tra l’ammirazione per la resistenza e le perplessità sull’outlook dell’economia. Non è solo la Casa Bianca a sfoderare ottimismo, con il chief economist Larry Kudlow che ha dichiarato che «nessuna recessione è in vista». Mickey Levy di Berenberg è convinto che la crescita, reduce dai recenti exploit e grazie a probabili intese con la Cina, manterrà un passo del 2,8% smentendo lo stesso 2,3% pronosticato dalla Fed: «Il business sembra guardare oltre la volatilità dei mercati, le preoccupazioni sulla crescita globale e le incertezze, e ha fiducia nell’outlook degli Stati Uniti». Altri predicano maggior scetticismo, affermando che quella fiducia sarà messa alla prova.