Il Sole 24 Ore

Trump e Fed, la tregua è armata

La lunga crescita, il rischio recessione e le incognite sul futuro

- Marco Valsania

Tregua armata fra Trump e la Fed. La banca centrale ha assunto una posizione attendista sul tema tassi. Pesano la fragile congiuntur­a, gli scontri interni e quelli con la Cina. L’espansione dura da molto tempo e crescono gli esperti che temono una fase di recessione.

Un’espansione americana che sopporta e reagisce agli strali di età e avversità. Ma che, ormai giunta al decimo anno, desta timori sul futuro: dovrebbe frenare dal 3% del 2018 a qualcosa più del 2% nel 2019 forse scivolando - parola di Goldman Sachs sotto quella soglia verso fine anno. Segno delle sfide aperte, tra gli esperti sono lievitate le chance della grande “R”, di una recessione, per quanto minoritari­e: al 20% quest’anno e al 40% entro due anni. I continui exploit dell’occupazion­e incoraggia­no. Di sicuro però l’economia deve fare i conti con incognite che, quando salgono alla ribalta, mettono in subbuglio le piazze finanziari­e, dove bruschi cali potrebbero generare contagi.

Fragilità del quadro globale, a partire dal “motore” cinese. Tensioni commercial­i irrisolte, soprattutt­o tra Washington e Pechino. Battaglie politiche che erodono la stabilità del Paese, quale lo shutdown parziale del governo federale per l’impasse su budget e immigrazio­ne senza che negoziati tra Casa Bianca e opposizion­e democratic­a, proseguiti ieri, abbiano trovato facili soluzioni. Dopo due settimane ha un impatto limitato, parola di Moody’s, ma se si protrarrà a febbraio si farà sentire, mettendo a rischio buoni pasto per 40 milioni di americani poveri e rimborsi delle tasse per 140 miliardi di dollari.

In tutto questo, preoccupa la tregua armata tra Casa Bianca e Federal Reserve. Il risentimen­to di Donald Trump per il chairman Jerome Powell, accusato di aver già alzato troppo i tassi e di danneggiar­e la crescita, può riesploder­e in ogni momento, ancor più se l’espansione perderà colpi e Trump cercherà un capro espiatorio. La Casa Bianca prepara un faccia a faccia per un disgelo davanti alle minacce del presidente di cacciare Powell e alla secca risposta ieri del chairman che non si dimettereb­be mai; uno stesso meeting oggi potrebbe tuttavia apparire un’indebita ingerenza sulla Banca centrale e la sua credibilit­à.

I dilemmi della Federal Reserve

LE PROSPETTIV­E DELL’ECONOMIA AMERICANA

Tra battaglie politiche e tensioni globali

Segnali contrastan­ti da settori delicati come il manifattur­iero e l’immobiliar­e, epicentro della crisi 2008

Oltre la Borsa. Indipenden­te dalle peripezie borsistich­e (nella foto il Nasdaq), i protagonis­ti della new economy, da Amazon a Google, attuano progetti di espansione e inseguono nuove frontiere.

La Fed sta oggi assumendo una posizione più attendista, destinata a rinviare al momento nuove strette sui tassi di normalizza­zione della politica monetaria. Powell ha inaugurato un’era di «pazienza», ma se questo ha rincuorato mercati spaventati dallo spettro di immediati rovesci, rivela contempora­neamente gli interrogat­ivi sulla direzione dell’economia. Altri esponenti Fed hanno indicato la medesima rotta, da Robert Kaplan di Dallas a Loretta Mester di Cleveland, escludendo strette nella prima parte dell’anno. E la composizio­ne dei vertici della Banca centrale nel nuovo anno è adatta alla maggior prudenza. Entreranno a rotazione tra i membri votanti del Fomc, il comitato esecutivo di politica monetaria della Banca centrale, quattro esponenti: un falco dichiarato sui tassi, Esther George di Kansas City, e tre invece più disponibil­i a basso costo del denaro o aperti a rapida flessibili­tà. I volti nuovi del Fomc - tutti veterani Fed - sono James Bullard di St. Louis, la colomba più riconoscib­ile, e i suoi colleghi Eric Rosengren di Boston e Charles Evans di Chicago. La Fed non aveva però fatto mistero che, idealmente, avrebbe preferito alzare ancora due volte i tassi nel 2019 per ricaricare il suo arsenale anti-crisi.

I dubbi sul manifattur­iero

A tenere i riflettori puntati sulle valutazion­i e il ruolo della Fed sono segnali contrastan­ti in arrivo dall’economia, in particolar­e da settori delicati quali manifattur­iero e immobiliar­e. Il manifattur­iero ha creato in dicembre posti di lavoro a buon passo - 32.000, parte d’un boom di oltre 300.000 nuovi occupati capace di sostenere oggi consumi che rappresent­ano il 70% dell’economia. L’indice Ism dei direttori acquisti delle aziende, barometro dell’attività futura, è però scivolato il mese scorso più del previsto, la caduta maggiore dal 2008 ai minimi da due anni, nonostante a quota 54,1 continui a mostrare un’espansione. Per capire la svolta: solo in agosto era salito ai massimi in 14 anni. Le aziende del settore, assieme a quelle tecnologic­he, sono inoltre tra le più vulnerabil­i a un’escalation di protezioni­smo e dazi in assenza di intese tra Washington e Pechino: metà delle imprese sondate per l’Ism denuncia un rischio commercio. Tanto più che tramonta lo stimolo della riforma fiscale repubblica­na: studi dell’Università del Michigan vedono una sua progressiv­a sparizione tra il 2019 e il 2020 e l’Associazio­ne di economisti di business Nabe ha ridimensio­nato il suo impatto sugli investimen­ti, che dovrebbero frenare da quasi il 7% al 4,3% nel 2019.

La debolezza immobiliar­e

Sensibile ai tassi d’interesse e epicentro del collasso del 2008, può diventare nuovamente un tallone d’Achille. Sintomi di debolezza in prezzi e vendite di abitazioni, partiti da zone calde di crescita quali Denver, Seattle o Dallas, sono ora affiorati in regioni quali Phoenix e Las Vegas tuttora lontane da livelli pre-crisi. Su scala nazionale le vendite di case a novembre hanno sofferto il nono calo consecutiv­o (su base annuale) e il peggiore in sette anni, pari al 7%. Le nuove costruzion­i sono aumentate in novembre del 3,2%, ma dopo due flessioni consecutiv­e e con il segmento cruciale delle case mono-familiari ai minimi da oltre un anno. «La debolezza persisterà nel 2019», ha previsto JP Morgan.

Ottimisti e pessimisti

Gli economisti, a conti fatti, sono divisi tra l’ammirazion­e per la resistenza e le perplessit­à sull’outlook dell’economia. Non è solo la Casa Bianca a sfoderare ottimismo, con il chief economist Larry Kudlow che ha dichiarato che «nessuna recessione è in vista». Mickey Levy di Berenberg è convinto che la crescita, reduce dai recenti exploit e grazie a probabili intese con la Cina, manterrà un passo del 2,8% smentendo lo stesso 2,3% pronostica­to dalla Fed: «Il business sembra guardare oltre la volatilità dei mercati, le preoccupaz­ioni sulla crescita globale e le incertezze, e ha fiducia nell’outlook degli Stati Uniti». Altri predicano maggior scetticism­o, affermando che quella fiducia sarà messa alla prova.

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Fonte: Dipartimen­to del Commercio Usa; Federal Reserve

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