Bello come un porco del gregge di Epicuro
Gli epicurei sostenevano che il fine dell’arte non è la verità ma il piacere. E la musica non rappresenta un’eccezione. Dinanzi a chi crede di aver trovato il significato di un accordo o addirittura di un’opera, si può ripetere con i discepoli di Epicuro: il dono della musa Euterpe non ha valore educativo e le va riconosciuto, appunto, soltanto la capacità di procurare diletto. E questo anche se platonici, stoici, peripatetici e non pochi letterati dell’antica Grecia attribuirono alla musica parte di culti, feste e battaglie – un significato contrario. Un dettaglio non marginale: nel De musica di Filodemo di Gadara, epicureo vissuto al tempo di Cicerone e morto dopo il 40 a. C., piacere è indicato con “terpsis” e non soltanto con “hedoné” (da “hedys”, dolce), termine quest’ultimo sospetto dal punto di vista etico. Forse anche a causa delle teorie dei Cirenaici, e di Aristippo in particolare, che avevano identificato “hedoné” con il bene.
L’opera ricordata di Filodemo, insieme ai suoi scritti su Retorica e Poetica, è di notevole importanza, giacché tratta argomenti che il primo epicureismo rifiutò. Sia chiaro: questo filosofo non è centrale nel pensiero antico, ma fu discepolo ad Atene di Zenone Sidonio, allora figura di rilievo, e verso la metà degli anni ’70 prima della nostra giunse in Italia e diventò amico di Lucio Calpurnio Pisone Cesonino, suocero di Giulio Cesare, proprietario della Villa dei papiri di Ercolano, ricca di testi epicurei venuti alla luce alla metà del secolo XVIII. In questa casa Filodemo visse e qui incontrò Virgilio. La sua opera è appunto legata a questo luogo: prima della scoperta della biblioteca della villa di Ercolano, il nome di Filodemo era conosciuto soltanto per un accenno lasciatoci da Diogene Laerzio nelle Vite dei filosofi e per qualche epigramma dell’Antologia greca.
Di lui, invece, sono emerse numerose opere e nella collana La scuola di Epicuro di Bibliopolis, fondata da Marcello Gigante e in cui sono apparsi una ventina di volumi, si trovano dieci suoi titoli. L’ultimo è uscito da poco: si tratta de Il primo libro della Retorica, curato da Federica Nicolardi. Testo greco, traduzione, commentario e amplissima introduzione con le utili premesse all’edizione (in appendice una “Maquette” mostra i papiri utilizzati). Da questo lavoro ricaviamo una citazione riguardante l’argomento trattato: «La retorica è scienza dei discorsi sulle cose da scegliere e quelle da evitare, o sulle cose nocive e quelle salutari…». Sono frasi ricostruite dai papiri; sovente sono due o tre parole, altre volte esse riescono ad animare un concetto. Qui, però, il discorso si amplia e il vostro cronista può rimandare chi desiderasse un’informazione sintetica e sicura su Filodemo all'articolo che gli ha dedicato Tiziano Dorandi nella Neue Pauly: Enzyklopädie der Antike Gesamtwerk (si trova nel IX volume, colonne 822-827, Stoccarda 2000).
Lo stesso Dorandi ha notato che Filodemo pare abbia introdotto nella filosofia epicurea talune sfumature, le quali, pur non mettendone in discussione i principi, l’adeguarono alle esigenze della realtà romana e ai tempi mutati. Del resto, l’epicureo Sirone, sodale di Filodemo e frequentatore della Villa dei papiri, sarebbe stato maestro di filosofia del giovane Virgilio e probabilmente di Orazio. E quest’ultimo fu epicureo. Lasciò i celebri versi del primo libro delle Epistole: «Me pinguem et nitidum ben curata cute vises,/ cum ridere voles, Epicuri de grege porcum». Traduciamoli con un sorriso: «Quando vorrai ridere verrai a vedermi, grasso, lucido, ben curato, un porco del gregge di Epicuro».