Se la finanza è analisi del reale
Il ribaltamento dei piani è completato: l’approccio teorico agli studi economici, che nei decenni ha concentrato gli sforzi nelle determinazione di formule e definizione di regole, ha lasciato il centro dell’agone all’analisi dei fenomeni empirici che riguardano i comportamenti economici dei singoli, delle imprese e degli Stati. In mezzo c’è stata la crisi finanziaria, culminata con il default di Lehman Brothers nel 2008, con l’ormai famosa Queen’s question, ossia la domanda posta agli economisti della London School of Economics dalla Regina Elisabetta II: «Perché nessuno si era accorto prima di questo pericolo?». L’ultima certificazione di questo ribaltamento è stato dato dall’assegnazione, nel 2017, del Premio Nobel per l’Economia a Richard Thaler: uno psicologo, come prima di lui Daniel Kahneman (vincitore nel 2002), che ha ricevuto la menzione per i suoi studi di finanza comportamentale. Così come, prima di loro, Herbert Simon (1978) e Robert Shiller (2013), che andando molto più in là rispetto al tema delle aspettative su cui si era soffermato a lungo a suo tempo J.M.Keynes, hanno concentrato la loro attenzione sulle bolle speculative, la volatilità dei prezzi e, in definitiva, sull’approccio empirico all’osservazione dei fatti economici.
Parte proprio da qui Paolo Legrenzi nel suo libro La Consulenza
Finanziaria , in cui raccoglie i lavori degli ultimi anni del docente di Psicologia all’Università Ca’ Foscari di Venezia. Lavori frutto dell’incontro di ricerca universitaria (coordina il Laboratorio di economia sperimentale nato dalla partnership tra Fondazione Università Ca’ Foscari e GAM a.m., nonché membro dell’Innovation board dello stesso ateneo) e in azienda: Legrenzi ha per decenni collaborato con diverse imprese finanziarie e commerciali, in una contaminazione assai proficua per i risultati della ricerca.
Da queste esperienze ha tratto spunti per una fortunata serie di volumi che hanno posto al centro dell’attenzione dello psicologo i trigger (letteralmente, gli inneschi) della finanza comportamentale, i fattori cioè che portano la mente umana ad esempio a rinviare una decisione o a scegliere di prediligere i titoli del proprio Paese. Nasce da qui la prevalenza dell’empirismo rispetto alla ricerca teorica o, quantomeno, un ribilanciamento nell’ordine di importanza tra la definizione delle formule e l’analisi del reale, ormai consolidato a livello internazionale. Non è un caso che il terreno di trattazione utilizzato per far emergere questa prevalenza, nel libro di Legrenzi sia la relazione consulenziale tra il professionista della finanza e il risparmiatore/investitore: terreno potenzialmente ricco di fiducia ed educazione finanziaria ma anche di delega, misleading fino ai comportamenti patologici di risparmio tradito, di cui si occupano le cronache.
Coerente con l’approccio empirico, Legrenzi prende per mano il lettore per osservare questa relazione consulente-investitore utilizzando film, romanzi, spettacoli televisivi, elementi dell’immaginario collettivo, più che teorie economiche e richiami accademici. Anche a sottolineare come la materia finanziaria sia interstiziale alla vita degli italiani, a prescindere dalla nostra scarsa alfabetizzazione, ossia presente come parte integrante dell’intero percorso esistenziale: perché come l’economia, ci si può non occupare di finanza ma la finanza in ogni caso si occupa di noi. Tracce di questo assunto si ritrovano nel Gattopardo, così come nelle opere di Bloch o Musil; o anche citazioni dal Ponte sul fiume Kwai o dall’autobiografia di Agassi (imperdibile “la regola di Agassi” di concentrarsi, nel tennis, punto dopo punto per vincere uno slam, come strumento per la gestione cognitiva dei problemi)
La stessa consulenza finanziaria, peraltro, sta vivendo una fase di rivoluzione strisciante: per quanto annunciata e preparata, la direttiva europea Mifid II sta producendo una selezione di mercato rilevante. L’obbligo di esplicitare tutti i costi connessi al servizio di consulenza sta segmentando enormemente il mercato, favorendo chi ha rilevanti masse sotto advisory – e clienti finanziariamente “educati” alle dinamiche di mercato – e i consulenti dai patrimoni limitati, con bassi patrimoni e coerentemente una bassa remunerazione per sé e per la propria rete. Che in ragione di questa dinamica talvolta decide di chiudere il mandato. Una tendenza che estromette non solo i consulenti ma anche i loro clienti investitori dal mercato della consulenza finanziaria, lasciandoli in una terra di nessuno potenzialmente rischiosa.