Il Sole 24 Ore

La folle corsa alla bomba atomica

- Gianfranco Bangone

Nel dicembre del 1938 alcune importanti scoperte di fisica a Roma, Parigi e Berlino aprono la strada alla fissione dell’atomo. Ad arrivare per primi al risultato sono Otto Hahn, Lise Meitner e Fritz Strassman, per cui si può dire che sia proprio il gruppo di fisici di Berlino ad aprire l’era del nucleare. Le nuove conoscenze hanno teoricamen­te due spin-off: il primo è che controllan­do una reazione nucleare si potrebbe disporre di una nuova fonte di energia, il secondo è che utilizzand­o alcuni isotopi, come U-235 e il Plutonio, si può arrivare a costruire un ordigno di inimmagina­bile potenza. La comunità scientific­a è ristretta a pochi specialist­i che fanno capo alle università di Berlino, Parigi, Copenaghen e Cambridge, per cui la notizia si sparge rapidament­e facilitata da forti legami personali fra i pochi fisici che si occupano dell’argomento. Il primo scoglio è risolvere il problema del combustibi­le nucleare: l’uranio nella sua forma naturale per oltre il 99% è 238, ma l’isotopo fissile è il 235 che rappresent­a appena lo 0,7 per cento. Va quindi trovato un processo per averne la giusta quantità per un reattore che produca energia, oppure per disporre di uranio weapon-grade, ovvero fortemente arricchito di 235, nel caso di un ordigno nucleare. La soluzione del problema, in un caso e nell’altro, non è affatto a portata di mano e richiede di allestire impianti industrial­i dedicati oltre a sviluppare specifiche tecnologie per separare i due isotopi. Il 235 infatti è più leggero del solo 1,26 % rispetto al 238. La corsa all’atomica nasce così, ma non si tratta di un percorso obbligato dove i successivi passi si compiono in automatico. Intanto salvo pochi casi la comunità della fisica, da una parte e dall’altra dell’Atlantico, è generalmen­te contraria allo sviluppo della bomba nucleare, per cui dal punto di vista militare è fondamenta­le stabilire se il Terzo Reich ha compiuto questi progressi più rapidament­e delle forze alleate. Fallout, dello storico Peter Watson, è la maniacale ricostruzi­one degli eventi che hanno portato al Progetto Manatthan, e alla corsa in solitario per sviluppare la bomba, ma con una conclusion­e che ribalta gli stereotipi che hanno tenuto banco per decenni. Montagne di documenti, non solo quelli desecretat­i negli archivi ma anche le missive fra i principali fisici del periodo, dimostrano che non ci troviamo davanti a una soluzione obbligata, quanto piuttosto a una gigantesca operazione di cover-up dovuta a calcoli politici. Gli Stati Uniti entrano in guerra nel ’41 ma le molte agenzie di intelligen­ce non sono coordinate e soprattutt­o non hanno fonti in Germania. Il Terzo Reich infatti aveva deciso nel 1942 di abbandonar­e la ricerca sulla bomba dopo una riunione segreta presieduta dal ministro degli armamenti Albert Speer a cui aveva partecipat­o anche il fisico Werner Heisenberg. La Gran Bretagna, attraverso le rivelazion­i dell’agente Griffin - al secolo Paul Rosbaud che aveva rapporti diretti con il mondo della fisica tedesca - manda a Londra un rapporto in cui svela che il Terzo Reich ha chiuso le ricerche sul nucleare perché i suoi fisici non reputavano di poter arrivare al risultato. Lo sforzo bellico è quindi di concentrar­si sulle V1 e V2 che possono dare ai nazisti la possibilit­à di piegare la Gran Bretagna e vincere il conflitto in Europa. Ma questa determinan­te informazio­ne viene taciuta a Washington per non mettere a rischio la fonte che l’ha prodotta. In terra americana, che nel frattempo ha accolto decine di grandi nomi della fisica scappati dall’Europa per le leggi razziali, il dominus indiscusso è il generale Leslie Groves che viene nominato responsabi­le del Progetto Manhattan. È un personaggi­o egotico, maniaco della segretezza, che muove le sue pedine anche a Washington per avere ragione di quanti sono contrari a cavalcare il nucleare per fini bellici (e sono tanti nella comunità della fisica). Nel giro di due anni la Germania è in ginocchio ma in ogni caso la ricognizio­ne aerea alleata non trova traccia degli stabilimen­ti necessari ad allestire una catena di produzione per arrivare a disporre di combustibi­le fissile. Ma Groves tace questi risultati per paura che possano demotivare gli uomini che lavorano al suo progetto. Il bersaglio diventa il Giappone anche se agli inizi del ’45 lo US Strategic Bombing Survey sostiene che il Paese del Sol Levante si sarebbe arreso in ogni caso nel giro di sei mesi. Il progetto Manhattan arriva al risultato e si bombardano Hiroshima e Nagasaki. L’Unione Sovietica, attraverso un incessante lavoro di spionaggio e fughe pilotate di informazio­ni dal Progetto Manhattan, sviluppa il suo ordigno nucleare qualche anno dopo. Il vaso di Pandora si è scoperchia­to. Quaranta anni di Guerra fredda serviranno a piegare l’Unione Sovietica e bisognerà attendere il 1987 perché Reagan e Gorbaciov firmino un accordo per porre fine a questa folle corsa.

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La guidaIl generale americano Leslie Groves, responsabi­le del progetto Manhattan

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