Manuale di buona fisica per chi non ne capisce
Campi e relatività nel nuovo volume di Susskind e Friedman
Nella seconda metà dell’Ottocento il mondo fisico si sdoppiò. Gli studi sui fenomeni elettrici e magnetici – quelli sperimentali di Michael Faraday prima, quelli teorici di James Clerk Maxwell poi – rivelarono che l’universo non è fatto solo di materia, di particelle in moto, ma anche di entità fisiche immateriali, i campi. Diversamente dalle particelle, che sono localizzate, i campi sono diffusi su tutto lo spazio, ma trasportano anch’essi energia e quantità di moto, e – come le particelle – sono soggetti a una dinamica governata da precise leggi matematiche.
Tramontavano così le vecchie azioni a distanza della fisica newtoniana e trionfava la località: si capì che i corpi non agiscono l’uno sull’altro istantaneamente, per effetto di misteriose forze, ma sono sorgenti di campi (il campo elettromagnetico e il campo gravitazionale), i quali, a loro volta, agiscono – con un certo ritardo temporale – su altri corpi. Albert Einstein si formò su questa fisica (una volta disse di aver assunto le idee di Faraday e Maxwell «con il latte materno») e si pose l’obiettivo di portarla a compimento. La sua prima relatività – la relatività ristretta del 1905 – aveva precisamente tale scopo: Einstein non la concepì come una teoria rivoluzionaria (anche se poi finì per sovvertire le tradizionali concezioni di spazio e di tempo, di inerzia e di energia), ma come lo sbocco naturale della teoria del campo elettromagnetico e della meccanica degli elettroni.
Trattare assieme la teoria classica dei campi e la relatività ristretta permette dunque di sottolineare la stretta relazione di interdipendenza tra queste due affascinanti costruzioni teoriche. Così aveva già fatto Lev Landau, uno dei più grandi scienziati del XX secolo, nel suo celebre corso di fisica teorica, e così fanno oggi – a un livello più divulgativo ma non meno rigoroso – il fisico statunitense Leonard Susskind, pioniere della teoria delle stringhe, e il suo allievo Art Friedman nel nuovo volume della serie Il minimo indispensabile per fare della (buona) fisica, che l’editore Raffaello Cortina sta proponendo al pubblico italiano. Relatività ristretta e teoria classica dei campi è un’eccellente descrizione del mondo della fisica classica – delle sue leggi e della sua ontologia –, che parte dalla teoria einsteiniana del 1905 per giungere alle equazioni di Maxwell dell’elettromagnetismo, capovolgendo l’ordine cronologico a vantaggio di quello logico.
Il percorso proposto da Susskind e Friedman, che non richiede grandi conoscenze preliminari ma presuppone comunque nel lettore una disposizione d’animo favorevole alla matematica, passa attraverso l’approccio alla meccanica sviluppato a fine Settecento da Giuseppe Luigi Lagrange e la geometrizzazione della relatività operata nel 1908 da Hermann Minkowski con l’introduzione del concetto di spazio-tempo: da qui si apre la via verso l’elettrodinamica, che incorpora un’altra splendida invenzione teorica del Novecento, l’invarianza di gauge (un termine inglese che significa «calibro», senza un corrispondente nell’italiano scientifico).
Il principio di gauge, concepito esattamente cento anni fa, nel 1918, dal matematico Hermann Weyl, impone che le leggi fisiche rimangano inalterate rispetto a un particolare tipo di trasformazioni dei campi. Dopo aver tentato invano di usarlo, sulla scia del postulato di relatività (anch’esso un principio di invarianza, rispetto alle trasformazioni delle coordinate spazio-temporali), per unificare gravità ed elettromagnetismo, Weyl si accorse che aveva in realtà un’altra funzione: imponendo l’invarianza di gauge a una teoria di sole particelle materiali, emergeva «spontaneamente» il campo elettromagnetico. Le leggi dell’elettromagnetismo potevano dunque essere derivate da princìpi primi. Per Weyl – e a posteriori anche per noi –, era un risultato ragguardevole nella direzione di una sempre maggiore unità e semplicità logica delle teorie, ma i fisici dell’epoca – che le leggi elettromagnetiche non avevano ovviamente bisogno di riscoprirle –, lo considerarono un semplice divertissement. L’invarianza di gauge sarebbe diventata molto tempo dopo, negli anni Cinquanta e Sessanta, il meccanismo cruciale per derivare le leggi delle nuove forze nucleari, ed è oggi alla base del Modello Standard delle particelle e delle interazioni fondamentali. A dimostrazione del fatto che le grandi conquiste della fisica classica – come quelle esposte nel libro di Susskind e Friedman – non sono state cancellate dagli sviluppi successivi della ricerca, ma fanno ancora parte integrante della nostra visione dell’universo.
La stretta relazione di interdipendenza tra teoria classica
dei campi e relatività ristretta