Com’è pop ballare tra le braccia di Bolle
Trasportare la danza nei territori del pop, diventare tramite esclusivo di una cultura del balletto capace di abbattere le barriere tra pubblici. In tempi di performance somministrate nel solo menù servito dai talent show, la terza edizione di Danza con me ( che nel 2016 è La mia danza libera), andata in onda il primo dell’anno su Rai1 e prodotto in collaborazione con Ballandi e Artedanza, ha portato a casa un successo baciato da 4.451.000 spettatori e 21.3% di share, dopo la conquista del Ros D’Or Awards a Berlino come miglior format tv europeo del 2018. Chiariamolo subito: molto di questo successo si deve al fenomeno Bolle che sa come bucare il video, consapevole di un corpo statuario che parla con ogni muscolo. Il ballerino italiano più famoso del mondo ha confezionato un contenitore nazional popolare, liberando la danza dal recinto d’arte d’élite e questo è un merito indiscusso e ci ricorda la missione del servizio pubblico.
Due ore e mezza di trasmissione con in campo cantanti, comici e attori (da Stefano Accorsi a Valeria Solarino, da Pif a Fabio de Luigi e Cesare Cremonini), funzionali a testi al limite della retorica, pur con una firma come Massimo Massini, che avrebbe dovuto osare di più, sganciandosi dal territorio sicuro dell’entertainment. Ma è quando a comandare sono i coreografi che il registro cambia. Ed è questa la carta vincente di Danza con me. Christopher Wheeldon firma il passo a due con Alessandra Ferri in stato di grazia (This Bitter Earth) così come Qualia di Wayne Mc Gregor è sguardo d’autore con la talentuosa Melissa Hamilton. Bigonzetti, con la sua Cantata, porta un’intensa Polina Semionova tra le braccia potenti di un Sud di pizziche e ninna nanne come Bolle a Genova, sulle note di Paganini, evocando ponti che uniscono invece di crollare.
Con Opus 100, For Maurice di John Neumeier, dedicato a Béjart sulla musica cult di Simon & Garfunkel, l’étoile si fa quasi prendere per mano da Alexander Riabko, un assoluto fuoriclasse. L’attesissimo duetto con braccio meccanico diventa, complice La Cura di Battiato in sottofondo, un magic moment ma ancora debole coreograficamente.
E se avremmo fatto volentieri a meno dei siparietti con can can e street dance (e non dell’irriverente Christian Spuck con la convincente Elisa Badenes), lo Schiaccianoci nella versione di Frédéric Olivieri ha mostrato, accanto ai gioielli di casa Toppi e Manni, le promesse scaligere in perfetto sincrono. Perché la danza, ricordiamolo, è dedizione assoluta. Chiusura poetica con partitura di mani e braccia in penombra, sulle note di Sakamoto. Ed è subito trionfo sui social. Bolle stella pop della danza? «Ne sono orgoglioso!», commenta a caldo. «Vuol dire che sono riuscito a entrare nel cuore delle persone senza rinunciare alla qualità che quest’arte impone e ricercando contaminazioni con altri mondi artistici che possano aiutare la danza ad allargare sempre più il suo pubblico». E ora pronti a guardarlo al Festival di Sanremo.