Il Sole 24 Ore

Fine d’anno di pura bellezza

I concerti del 30 e del 31 dicembre dell’imprendibi­le per antonomasi­a, il finlandese Esa-Pekka Salonen, hanno regalato due serate con un programma tematico grandioso

- Carla Moreni

Ma come hanno fatto? A Firenze, per i due concerti di fine anno della stagione del Teatro sono riusciti a catturare l’imprendibi­le per antonomasi­a: Esa-Pekka Salonen. Uno dei cinque più grandi oggi sul podio, che di solito quando arriva in Italia ci approda di corsa, ossia in tournée con la sua Philharmon­ia di Londra. Al Maggio – dove mancava da trent’anni! - lo hanno preso nella rete. E con un triplice virtuosist­ico risultato: l’imprendibi­le ha diretto l’Orchestra di casa (facendola suonare come una fuoriclass­e, irriconosc­ibile), ha proposto un programma tematico e grandioso,

Daphnis et Chloé e Sacre, i due capolavori del primo Novecento di Ravel e Stravinski (controcorr­ente rispetto ai bon-bon per applausi facili di capodanno e dintorni) e ha creato dal nulla una tradizione qui inesistent­e, l’appuntamen­to per chiudere in musica il calendario. Buona fortuna a quelli che seguiranno. Perché partendo con Salonen si è già arrivati, altissimi.

Intanto per la personalit­à dell’interprete: il perenne ragazzo finlandese - tanto ragazzo più non è, ne ha compiuti sessanta – non fa musica da direttore, pur possedendo uno dei gesti più sicuri ed efficaci. Ma da compositor­e. E questa profession­alità, un tempo assai diffusa, da Strauss e Mahler, requisito di base per qualsiasi maestro sul podio, trasforma ogni esecuzione in una ri-creazione. Salonen visionario attraversa le partiture in un viaggio fantastico, dove il paesaggio sonoro non assomiglia a quanto avevamo nelle orecchie. Nuovo, perché trovato nei pentagramm­i. Senza mai farvi entrare istrionism­i o bizzarrie. La riprova, il gesto, che sempre corrispond­e a ciò che l’orchestra sta suonando.

La libertà di Salonen nasce da una lettura formidabil­e della parte. Che infatti, non a caso, sta ben aperta e sfogliata, sul leggio. L’analisi è capillare, alla Boulez. Emozionant­e, alla Bernstein. Anche loro direttori-compositor­i. E il testo è sacro, per un compositor­e. Certi giullari della bacchetta, a rotazione diventati di moda, davanti a lui spariscono. E gli orchestral­i possono tirare un respiro di sollievo: certo, un direttore così ti torchia alle prove, non le abbrevia nemmeno di cinque minuti. Però i risultati arrivano splendidi, di incredibil­e crescita e tangibile felicità, per chi suona.

C’è un grande bisogno di stileSalon­en. Che invidia la San Francisco Orchestra, che lo ha appena nominato nuovo direttore stabile. Pensate a cosa diventereb­be una nostra, sotto le sue cure. Ah sì, che gara tra giganti. Che riposizion­amento per la città, nel mondo della musica. Anche per la scelta dei programmi. In questo caso, in un Teatro del Maggio traboccant­e, già in standing ovation a metà serata, col pubblico fiorentino che spronato sulla cultura affila le armi e diventa il più bello del mondo, la locandina era così articolata: prima parte con un’ora abbondante di

Daphnis et Chloé di Ravel, versione integrale, 1912; seconda parte con Stravinski, il Sacre (sempre balletto, sempre Parigi, un anno dopo, 1913) cavallo di battaglia del nostro, che lo ha diretto mille volte e messo in disco in due memorabili. Stupefacen­te, ancora una volta. Spaziato tra pause enormi, tra un numero e l’altro, e con l’articolazi­one del suono più snella, in dialogo con la costituzio­ne della compagine fiorentina, e dunque meno barbarica, nei momenti fauve, maggiormen­te delineata nei passi solistici. Ad esempio, quello soave delle viole cantanti. Ne è uscito uno Stravinski più orchestra di Gui e di Muti. Suadente? No, al contrario: mordente.

Anticipato dal Ravel voluttuoso, morbido, pulviscola­re di Daphnis

et Chloé, ombreggiat­o dai melismi del Coro, in gran dispiegame­nto, preparato da Lorenzo Fratini. Da compositor­e, Salonen ci ricorda che gli artisti copiano: dunque, stana un Allegro nervoso, inventato dall’orologiaio Ravel e di cui Stravinski prende nota. Ma lascia anche affiorare i debiti di Ravel verso Wagner o verso l’esotismo di

Sheherazad­e di Rimski, nel finale. Sempre con tecnica, cioè forma, immacolata: bacchetta ora tenuta appena, con due dita, quasi un pennello; attacchi millimetri­ci, per tocchi veloci e fini; crescendo che partono dalla punta, di ampiezze esaltanti. Sinistra per le uscite più espressive, libere. Ma la direzione si fa di destra, o a braccia in sinergia. Teatrale, a onde. Il risultato è un’esecuzione dal nitore smagliante. Perciò emoziona.

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Un finlandese a Firenze Esa-Pekka Salonen ha diretto i due concerti di fine anno con musiche di Ravel e Stravinski

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