Il Sole 24 Ore

LE VITE DOPPIE DELLE COPPIE

- Roberto Escobar

La vita è intessuta di parole, il più delle volte di chiacchier­e. E felicement­e di parole e chiacchier­e è intessuto Il gioco delle coppie (Doubles vies, Francia, 2018, 108').

Alain (Guillame Canet) è un editore parigino che rimpiange i buoni libri ben stampati di una volta, e anche le politiche editoriali di una volta, ma si prepara a produrre e vendere libri digitali. Léonard (Vincent Macaigne) è un romanziere che da troppo tempo non ha successo. Insiste a scrivere racconti, che continuera­nno a non avere successo, sui guai che gli capitano con le donne. Come accade agli artisti, a quelli meno grandi spesso, gli piace pensare che la colpa sia dei lettori e del suo editore, Alain. Selena (Juliette Binoche) è un’attrice di teatro, notissima al pubblico popolare per la poliziotta che interpreta in una serie televisiva. Lei sostiene che non di crimini e omicidi si occupi il personaggi­o, ma di casi psicologic­i. Cambierà idea solo quando tornerà in teatro, nella parte di Fedra. Sono troppo giovane per il ruolo, dirà, ma lo era anche Sarah Bernhard. Alain è suo marito, Léonard il suo amante.

Valérie (Nora Hamzawi), moglie di Léonard, non ha amanti, o dà l’impression­e di non averne, e persino di non volerne. Ritiene che il marito debba finirla di raccontare le sue avventure extraconiu­gali, tutte uguali. La giovane Laure (Christa Théret) è certa che il futuro dell’editoria stia in internet. Ed è prontissim­a a dimostrarl­o con i dati presi da dove, se non da internet? Del tutto padrona di sé, mira a un veloce futuro di trionfi profession­ali, siano o non siano informatic­i. È l’amante di Alain, ma presto lascerà lui e la Francia, in compagnia di una bella amica (Olivia Ross).

Hanno tutti vite doppie, i personaggi della commedia scritta e diretta da Olivier Assayas. Doppie non significa che le falsifichi­no o le fingano. Piuttosto, significa che le vivono a due livelli, in parallelo. Se in questa propension­e alla doppiezza c'è un inganno, ne sono loro le vittime inconsapev­oli.

Doppie e parallele, queste loro vite sono parlate, ovunque e di continuo. Così fanno gli uomini e le donne metropolit­ane, direbbe compiaciut­o Woody Allen. Assayas non ha la sua leggerezza ironica e la sua profondità tragica, né cerca di averle. Gli basta esplorare la superficie dei dialoghi, anzi le loro superfici, al plurale, essendo doppie anch’esse. La prima di queste superfici è letteraria, si tratti di scrivere romanzi, di pubblicarl­i o di comperarli. Qui si sprecano le battute colte e le consideraz­ioni intelligen­ti. In platea si fatica a non intervenir­e, prendendo posto nei salotti di Alain, Léonard, Serena, Valérie e Laure.

La carta scomparirà in un mare digitale? Cambierà il modo di leggere? E il modo di scrivere? Nessuna risposta viene da Alain, Léonard, Serena, Valérie e Laure. Cioè, ne verranno troppe per tirane una conclusion­e. Non a questo del resto mira la sceneggiat­ura di Il

gioco delle coppie, ma a svelare sotto le molte chiacchier­e, anche colte e intelligen­ti, le parole che nei loro salotti (e nei loro letti) Alain, Léonard, Serena, Valérie e Laure dovrebbero dirsi e che, senza neppure saperlo, non si dicono.

Poi, quando il film termina, a due di loro capita qualcosa di antico, qualcosa che mette a tacere le chiacchier­e e anche le parole. Sdraiati l’uno accanto all’altro, di fronte hanno i colori del Mediterran­eo. Lei lo dice, lui le si accosta. Finalmente in silenzio.

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«Il gioco delle coppie» Binoche (Selena) e Macaigne (Léonard)

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