LE VITE DOPPIE DELLE COPPIE
La vita è intessuta di parole, il più delle volte di chiacchiere. E felicemente di parole e chiacchiere è intessuto Il gioco delle coppie (Doubles vies, Francia, 2018, 108').
Alain (Guillame Canet) è un editore parigino che rimpiange i buoni libri ben stampati di una volta, e anche le politiche editoriali di una volta, ma si prepara a produrre e vendere libri digitali. Léonard (Vincent Macaigne) è un romanziere che da troppo tempo non ha successo. Insiste a scrivere racconti, che continueranno a non avere successo, sui guai che gli capitano con le donne. Come accade agli artisti, a quelli meno grandi spesso, gli piace pensare che la colpa sia dei lettori e del suo editore, Alain. Selena (Juliette Binoche) è un’attrice di teatro, notissima al pubblico popolare per la poliziotta che interpreta in una serie televisiva. Lei sostiene che non di crimini e omicidi si occupi il personaggio, ma di casi psicologici. Cambierà idea solo quando tornerà in teatro, nella parte di Fedra. Sono troppo giovane per il ruolo, dirà, ma lo era anche Sarah Bernhard. Alain è suo marito, Léonard il suo amante.
Valérie (Nora Hamzawi), moglie di Léonard, non ha amanti, o dà l’impressione di non averne, e persino di non volerne. Ritiene che il marito debba finirla di raccontare le sue avventure extraconiugali, tutte uguali. La giovane Laure (Christa Théret) è certa che il futuro dell’editoria stia in internet. Ed è prontissima a dimostrarlo con i dati presi da dove, se non da internet? Del tutto padrona di sé, mira a un veloce futuro di trionfi professionali, siano o non siano informatici. È l’amante di Alain, ma presto lascerà lui e la Francia, in compagnia di una bella amica (Olivia Ross).
Hanno tutti vite doppie, i personaggi della commedia scritta e diretta da Olivier Assayas. Doppie non significa che le falsifichino o le fingano. Piuttosto, significa che le vivono a due livelli, in parallelo. Se in questa propensione alla doppiezza c'è un inganno, ne sono loro le vittime inconsapevoli.
Doppie e parallele, queste loro vite sono parlate, ovunque e di continuo. Così fanno gli uomini e le donne metropolitane, direbbe compiaciuto Woody Allen. Assayas non ha la sua leggerezza ironica e la sua profondità tragica, né cerca di averle. Gli basta esplorare la superficie dei dialoghi, anzi le loro superfici, al plurale, essendo doppie anch’esse. La prima di queste superfici è letteraria, si tratti di scrivere romanzi, di pubblicarli o di comperarli. Qui si sprecano le battute colte e le considerazioni intelligenti. In platea si fatica a non intervenire, prendendo posto nei salotti di Alain, Léonard, Serena, Valérie e Laure.
La carta scomparirà in un mare digitale? Cambierà il modo di leggere? E il modo di scrivere? Nessuna risposta viene da Alain, Léonard, Serena, Valérie e Laure. Cioè, ne verranno troppe per tirane una conclusione. Non a questo del resto mira la sceneggiatura di Il
gioco delle coppie, ma a svelare sotto le molte chiacchiere, anche colte e intelligenti, le parole che nei loro salotti (e nei loro letti) Alain, Léonard, Serena, Valérie e Laure dovrebbero dirsi e che, senza neppure saperlo, non si dicono.
Poi, quando il film termina, a due di loro capita qualcosa di antico, qualcosa che mette a tacere le chiacchiere e anche le parole. Sdraiati l’uno accanto all’altro, di fronte hanno i colori del Mediterraneo. Lei lo dice, lui le si accosta. Finalmente in silenzio.