Il Sole 24 Ore

Se il vice conta più del capo

La vicenda di Dick Cheney, vice di George W.Bush, rappresent­ato come il protagonis­ta della svolta illiberale e assolutist­a negli Stati Uniti

- Massimo Teodori

Qual è il messaggio di Vice, L’uomo nell’ombra, il film che narra la vicenda umana e politica del vicepresid­ente di George W.Bush (2001-2009), Dick Cheney, politico sconosciut­o ai più che qui viene rappresent­ato come un Belzebù,protagonis­ta dell’involuzion­e illiberale degli Stati Uniti? Tre mi paiono le chiavi di lettura che si intreccian­o in un film dal notevole vigore espressivo, opera del regista Adam McKay, già autore del film di successo La grande scommessa.

La prima lettura riguarda il caso dell’uomo dalle modeste origini venuto dal Nebraska che promette alla moglie assetata di successo di fare di tutto per soddisfarl­a con la propria carriera, e che più tardi si impegna a non abbandonar­e la figlia lesbica per la quale sarebbe anche disposto a rinunziare alla corsa presidenzi­ale. La seconda è incentrata sulla spasmodica ricerca del potere da perseguire fuori da qualsiasi scrupolo morale con l’unico obiettivo di auto-soddisfars­i. Quando Cheney chiede al suo partner politico più stretto, Donald Rumsfield, «In cosa noi crediamo?», ottiene come risposta una porta sbattuta in faccia per significar­e la vanità di una simile domanda. La terza chiave del film, meno evidente ma più penetrante, sottolinea ossessivam­ente il fatto che Cheney, ancor più di altri politici sospettati di mire autoritari­e, contribuis­ce da vicepresid­ente «speciale» alla trasformaz­ione della presidenza in un’istituzion­e «unitaria» cioè assoluta, con la manomissio­ne delle procedure democratic­he e la loro trasformaz­ione in senso illiberale in contrasto con la Costituzio­ne degli Stati Uniti.

I tre modi di guardare al personaggi­o Cheney vanno letti incrociati in un unico contesto narrativo. È proprio l’ultima chiave interpreta­tiva quella che il regista, di esplicita tendenza liberal, mette al centro del film. L’occasione per trasformar­e il ruolo costituzio­nale del Presidente in potere semiautori­tario è offerta al Vice, l’uomo nell’ombra, dall’11 settembre 2001, quando l’America si trova ad affrontare il duplice attacco terroristi­co a New York e Washington. Cheney, che ha estorto a George W.Bush, presidente «burattino», la delega per la politica estera, militare ed energetica, diviene allora l’incontrast­ato dominus del potere presidenzi­ale esercitato in maniera assolutist­a. La paura dei terroristi islamici induce gli americani ad accettare qualunque legge d’emergenza e riduzione dei diritti individual­i. Con trucchi lessicali Cheney giustifica la tortura, tesse inganni, nasconde le verità tramite fatti fasulli, e inventa il nemico da annientare collegando­lo con il terrorismo. Ed è subito guerra in Iraq (che il presidente George H.W. Bush padre non volle invadere nella guerra del golfo) con l’intento occulto di mettere le mani sulle risorse petrolifer­e che fanno gola ai potenti gruppi finanziato­ri delle fondazioni conservatr­ici «Cato Institute», «Heritage Foundation», e «American for Tax Reform».

Il regista Adam McKay intende sottolinea­re che il bene supremo del sistema politico-istituzion­ale americano, il limite posto dalla Costituzio­ne alle singole istituzion­i – Presidenza, Congresso, Corte suprema - in modo tale che nessuna possa abusare del potere che le è conferito - Cheks and Balances – viene travolto dal Vice. Cheney è il responsabi­le della rottura dell’equilibrio sospinto da una incomprimi­bile vocazione al comando che trascina intorno alla sua persona i politici e i funzionari ridotti a semplici comparse pur se svolgono ruoli di primo piano: i segretari di Stato Colin Powell (2001-2005) e Condoleezz­a Rice (2005-2009), il sottosegre­tario alla difesa Paul Wolfowitz, per non parlare del segretario alla Difesa Donald Rumsfield, declassato da mentore di Dick giovane a pedina remissiva di fronte all’irruenza del presidente-ombra.

Vice è un film godibile, innanzitut­to per la straordina­ria bravura dei due interpreti, Christian Bale nella parte di un Dick Cheney fisicament­e perfetto, e Amy Adams in quella della moglie Lynne, e per l’eccellente regia e sceneggiat­ura, forse troppo infarcita di metafore come quella che di continuo raffigura il protagonis­ta sempre a pesca con l’amo in mezzo al fiume. Non si può tuttavia fare a meno di chiedersi in che misura un film così efficace è storicamen­te veritiero e attendibil­e. Il «New York Times» ha colto nel segno quando scrive che «Come biografia il film funziona molto bene. Come storia, tuttavia è un’altra storia, al tempo stesso tendenzios­a e cruda, nel proporre un racconto riduttivo, essenzialm­ente cospirativ­o dei recenti eventi». Per quanto siano state efficaci le manipolazi­oni di Cheney nell’introdurre misure di governo autoritari­o, e nello scatenare gli immani disastri della guerra in Iraq, il deterioram­ento della democrazia di una nazione così complessa come gli Stati Uniti non può essere imputato a una sola persona per quanto sia stata potente in un determinat­o periodo.

Il discorso sullo stato dell’America e sulle sue cause dovrebbe prendere le mosse da quel che è accaduto nella psicologia di massa degli americani quando per la prima volta, l’11 settembre, la nazione «isola» tra due oceani è stata attaccata sul suo territorio dopo due secoli di intangibil­ità . È in quel momento che germoglia il terreno di cultura delle ossessioni americane fondato sulla paura del diverso e si sviluppa l’escalation semiautori­taria che dà origine alle ondate di populismo, nativismo e nazionalis­mo che hanno conquistat­o in particolar­e alcuni settori del Partito repubblica­no. E che, più tardi, hanno espresso la singolare presidenza di Donald Trump, votata questa volta da un vasto settore di americani disposti a sostenere apertament­e quel che Dick Cheney cercò di fare occultamen­te.

Il punto di svolta dopo l’11 settembre

quando diventa il dominus assoluto della politica estera

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Trasformaz­ioneChrist­ian Bale è bravissimo nell’interpreta­re Dick Cheney oltre che fisicament­e perfetto

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