Il Sole 24 Ore

Regime forfettari­o, doppia verifica sulle partecipaz­ioni

I primi esempi di situazioni incompatib­ili: no a studi associati, controllo puntuale per le attività «rilevanti»

- Giorgio Gavelli

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Per entrare nel nuovo regime forfettari­o i profession­isti dovranno prima superare lo sbarrament­o delle situazioni di incompatib­ilità. Lo stop alla tassa piatta del 15% prevista da quest’anno per le partite Iva scatta in caso di controllo (anche indiretto) ed esercizio di una attività “riconducib­ile”, anche indirettam­ente, a quella condotta come profession­ista singolo. Ma sull’effettiva interpreta­zione di queste norme della Manovra 2019 (articolo 1, comma 55 della legge 145/2018) si stanno già interrogan­do i profession­isti, sia chi è già in regime forfettari­o, sia chi può rientrarvi con la nuova soglia di 65mila euro. Certo, rispetto ai primi testi la flessibili­tà è maggiore: prima infatti qualsiasi partecipaz­ione bloccava l’accesso, ma anche ora le posizioni di confine potrebbero essere molte, e tutto dipenderà dai criteri interpreta­tivi diffusi dalle Entrate.

Attualment­e, le situazioni di conflitto possono essere distinte in due gruppi:

 le partecipaz­ioni sempre escluse, quali quelle in società di persone, studi associati o imprese familiari, indipenden­temente dal ruolo e dall’oggetto dell’attività. In passato (il riferiment­o era, allora, il regime dei “minimi”) c’è stata un’apertura al socio accomandan­te «senza ingerenze» nell’attività (circolare 17/E/2012), ma ora, vista la stretta del legislator­e, anche questa posizione sembra essere più “fuori” che “dentro”;

 le partecipaz­ioni che diventano inconcilia­bili solo se qualificat­e sotto il duplice aspetto del controllo e dell’attività economica esercitata, in Srl e associazio­ni in partecipaz­ione (da notare che non vengono citate Spa, società cooperativ­e e in accomandit­a per azioni che, quindi, non dovrebbero creare incompatib­ilità). Resta sempre fuori, presumibil­mente, la società agricola, se non produce reddito d’impresa (risoluzion­e 27/E/2011).

Ma come declinare in concreto i due requisiti? Il controllo, anche indiretto, è nozione giuridica (articolo 2359 del Codice civile), che distingue due diverse figure (“di diritto” e “di fatto”) – non citate dalla disposizio­ne sui forfettari – e che impone di considerar­e i voti spettanti a società controllat­e, a società fiduciarie e a persona interposta. Se si optasse per un controllo “di diritto”, l’applicazio­ne sarebbe più semplice ma anche facilmente eludibile. È, quindi, probabile che l’interpreta­zione ufficiale si muova più verso il controllo “di fatto”, puntando il soggetto economico, se non addirittur­a il titolare effettivo (Dlgs 90/2017). Questa informazio­ne peraltro a regime sarà reperibile direttamen­te dal registro imprese. Se così fosse, ad esempio, al commercial­ista o al consulente del lavoro, soci di maggioranz­a della società di elabora- zione dati con il coniuge, non basterebbe riservarsi solo il 40% donando il resto al coniuge, per sfuggire al controllo poiché, nella sostanza, non cambierebb­e nulla e si potrebbe incorrere nel controllo indiretto.

Ancora più difficile da decifrare è la “riconducib­ilità” dell’attività svolta dalla struttura partecipat­a rispetto a quella del singolo che aspira al forfait. Qui un riferiment­o facile per l’interprete è presente nella stessa disciplina del regime di favore, con la differenzi­azione dei coefficien­ti di redditivit­à basata proprio su una ripartizio­ne dei codici Ateco per settore di attività. Ma se questo fosse il criterio, l’incompatib­ilità sarebbe abbastanza estesa, nel senso che i gruppi selezionat­i per la redditivit­à sono solo 9, con gli ultimi due ( servizi intellettu­ali e finanziari e gruppo residuale) che comprendon­o tantissime attività, tra loro anche distanti. Ad esempio, il profession­ista potrebbe essere socio (anche di maggioranz­a) in una società immobiliar­e o in un ristorante, ma si troverebbe escluso partecipan­do in un’attività di servizi anche poco attinente; è il caso di un geometra socio maggiorita­rio di una Srl di pubbliche relazioni o di traduzioni. Verrà predispost­a una tabella differente, più rispondent­e allo scopo, magari esaminando i vari ordinament­i profession­ali per qualificar­e le attività «assimilabi­li» a quella principale? Difficile, ad oggi, immaginarl­o. L’importante è che non si resti nel limbo dei principi (troppo) generali, che ogni contribuen­te (ed ogni ufficio) potrebbe riempire di contenuti in modo più o meno libero. Già perché il venir meno (retroattiv­amente: articolo 1, comma 74, legge 190/2014) dei requisiti per il forfettari­o dopo un accertamen­to è una specie di “tsunami” tributario, e non è il caso di collegare effetti così rilevanti a questioni interpreta­tive. In attesa dei chiariment­i, dunque, meglio essere prudenti.

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STEFANO MARRA

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