Braccio di ferro sulle navi Ong Sicurezza, sei Regioni al ricorso
Conte prova a mediare, ma Salvini frena: i porti restano chiusi, no a cedimenti L’impasse sul porto di sbarco: Malta chiede di redistribuire tutti i 249 profughi già salvati
Il nodo non è chi accoglierà i 49 migranti ormai allo stremo a bordo delle navi di Sea Watch e Sea Eye, che cominciano a rifiutare il cibo: una decina di Paesi, tra cui l’Italia, la Francia, l’Olanda e la Germania, hanno assicurato la disponibilità ad accoglierli. L’impasse riguarda ancora il porto di sbarco: Malta fino a ieri sera ha rifiutato l’approdo, sebbene avesse concesso l’autorizzazione a entrare nelle sue acque per ricevere assistenza. Chiede all’Europa che vengano redistribuiti tutti i 249 profughi salvati dai suoi guardiacoste nei giorni scorsi. «Stiamo consumando i telefoni», fanno sapere da Bruxelles, dove ieri si sono riuniti gli ambasciatori dei 28 e dove oggi la questione potrebbe approdare sul tavolo del Consiglio Affari generali. Con armi spuntate a disposizione: la Commissione, oltre a richiamare i singoli Paesi alla solidarietà, può fare ben poco.
In Italia i porti restano chiusi. Ha prevalso la linea del vicepremier leghista Matteo Salvini, che non si lascia intimidire neppure dal secondo appello in 48 ore arrivato da Papa Francesco. «Fare diversamente – avverte il ministro dell’Interno – sarebbe un segnale di cedimento che fa dire agli scafisti “continuiamo ad andare a prenderli perché tanto prima o poi in Italia ci arrivano”. Io dico basta». Non può mancare una stoccata alle Ong: «Furbetti che cambiano bandiera e non rispettano le regole. Ci sono una nave olandese e una tedesca in acque maltesi. Malta, Germania e Olanda facciano il loro dovere».
Si arena contro l’intransigenza di Salvini anche il tentativo di mediazione del premier Giuseppe Conte: la mano tesa all’accoglienza di 15 migranti (non solo donne e bambini, come aveva proposto il vicepremier M5S Luigi Di Maio, ma famiglie). La mossa, lasciata soltanto filtrare, crea nuovi malumori nel Governo. Conte non la smentisce e continua il suo lavoro diplomatico per cercare una soluzione a livello Ue. Fonti di governo leghista, invece, si preoccupano di precisare che nell’Esecutivo «non c’è alcuna polemica» e che però «Salvini non cambia posizione e ribadisce la sua contrarietà a qualsiasi arrivo via mare in Italia, per bloccare il traffico di esseri umani». La soluzione, si aggiunge, «sono i corridoi umanitari via aereo per chi scappa davvero dalla guerra».
Nessuna indulgenza, dunque. Il leader della Lega deve far dimenticare in fretta la manovra e veleggiare verso le elezioni europee di maggio col vento dei suoi cavalli di battaglia in poppa. A mettersi di traverso però sono le Regioni di centrosinistra: Toscana, Umbria ed Emilia Romagna hanno deliberato il ricorso alla Corte costituzionale contro il decreto sicurezza. Anche la Sardegna è in rampa di lancio, mentre Piemonte e Lazio sono al lavoro. Senza contare la Calabria, che aveva già manifestato la sua contrarietà alla legge, e la Basilicata, che starebbe valutando il da farsi. Un asse dei governatori – più rapido e compatto di quello dei sindaci, che non possono rivolgersi direttamente alla Consulta – deciso a dimostrare che la stretta sulla protezione umanitaria e sul diritto di residenza dei richidenti asilo decisa dal decreto compromette il diritto all’assistenza sanitaria, allo studio, alla formazione professionale, e interrompe l’integrazione generando insicurezza sociale.
«Si sta creando un movimento ampio», afferma il governatore toscano Enrico Rossi. Movimento a cui Salvini replica stizzito, dicendosi impaziente di conoscere il verdetto dei giudici costituzionali e spostando il piano: «Mi sto facendo mandare i dati sul numero di cittadini umbri, piemontesi e toscani che aspettano una casa popolare. Mi fa specie che invece di dare una casa ai cittadini italiani le Regioni si preoccupino di migranti».