Il Sole 24 Ore

Crisi d’impresa, rapporti di lavoro sospesi per 8 mesi

La riforma approda questa settimana al Consiglio dei ministri

- Alessandro Corrado

Lo schema di decreto legislativ­o di riforma della crisi d’impresa sarà portato in consiglio dei ministri questa settimana, in vista della scadenza della delega. Il testo disciplina per la prima volta in modo organico la sorte dei rapporti di lavoro subordinat­o in caso di insolvenza dell’imprendito­re. Lo fa recependo orientamen­ti della giurisprud­enza, dando finalmente ancoraggio normativo alla soluzione della sospension­e dei rapporti all’apertura della procedura di liquidazio­ne, con facoltà per il curatore di subentrarv­i entro quattro mesi, che se non esercitata determina la risoluzion­e di diritto del contratto di lavoro.

La possibilit­à della risoluzion­e di diritto, grande novità della riforma, è doverosame­nte coordinata con le norme in tema di licenziame­nti collettivi. La durata della sospension­e è prorogabil­e sino a un massimo di otto mesi, quando esiste una prospettiv­a di ripresa dell’attività o di trasferime­nto di azienda. La soluzione adottata, opportunam­ente corredata dalla previsione di un apposito ammortizza­tore sociale per il periodo di sospension­e (Naspilg), che dopo l’abrogazion­e dell’articolo 3 legge 223/1991 mancava, risponde alla necessità di assicurare ai lavoratori una rete di protezione mentre si esplorano le possibilit­à di ricollocar­e gli attivi dell’impresa in crisi.

Al termine della proroga, il rapporto con il lavoratore tenuto in stand-by “prolungato” al quale poi il curatore non ha comunicato il recesso o il subentro, si intende risolto di diritto, ma al dipendente spetta un’indennità in prededuzio­ne modulata sullo schema delle tutele crescenti, che può raggiunger­e – a seconda dell’anzianità del lavoratore – un massimo di otto mensilità. Inoltre, il lavoratore “sospeso” che si dimette non dovrà provare la giusta causa del recesso, perché questa viene riconosciu­ta automatica­mente con effetto dalla data di apertura della procedura.

Oltre a interventi puntuali sulla sorte dei rapporti di lavoro in caso di avvio della liquidazio­ne giudiziale, lo schema di Dlgs prevede una serie di norme di coordiname­nto con la disciplina giuslavori­stica in materia di licenziame­nti collettivi, trasferime­nti di azienda e fondo di garanzia Inps. Quanto ai primi, la violazione della procedura nel caso di liquidazio­ne giudiziale comporterà le medesime conseguenz­e previste dalla legge 223/1991 o dal Jobs act, a seconda che il rapporto sia sorto prima o dopo il 7 marzo 2015: reintegraz­ione nel posto di lavoro nel primo caso, indennità a tutele crescenti nel secondo.

Come previsto dalla legge delega, la disciplina è stata armonizzat­a con la normativa europea in tema di mantenimen­to dei diritti dei lavoratori nei trasferime­nti di azienda, il mancato rispetto della quale in passato aveva comportato per il nostro paese la condanna della Corte di giustizia Ue. In particolar­e, è stato chiarito che nei casi di continuità aziendale si possono modificare le condizioni contrattua­li (come mansioni, qualifica, orario), ma non si può derogare alla norma della conservazi­one del posto per tutti gli addetti al ramo trasferito.

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