Maduro atto secondo, altri sei anni di iperinflazione e crisi alimentare
Parlamento esautorato: il giuramento davanti al Tribunale superiore Cibo razionato e crollo della produzione petrolifera per carenza di investimenti
Una cerimonia anomala ma ufficiale, un Paese spaccato in due, tanti nemici e pochi amici. Questi ultimi tutt’altro che disinteressati. Ieri a Caracas è andato in scena il rinnovo del mandato di Nicolas Maduro, 56 anni, presidente del Venezuela, che gli consente di rimanere in carica per altri sei anni. Il capo dello Stato ha giurato «a nome del popolo, per i nostri antenati, per il Libertador Simon Bolivar, per il presidente Hugo Chavez, per costruire il socialismo del Secolo XXI e per Dio Onnipotente e per la mia stessa vita».
El mandatario, 56 anni, ha giurato nelle sue stesse mani e non davanti al Parlamento, esautorato tre anni fa.
La cerimonia avviene davanti ai giudici del Tribunale Superiore di Giustizia (Tsj), l’organismo che aveva sciolto il Parlamento legittimo dando vita alla «Assemblea nazionale costituente» formata solo dai fedelissimi. Nel 2016 il Parlamento è stato accusato di «oltraggio alla magistratura» e per questo il testo costituzionale prevede in subordine il giuramento del presidente davanti al Tsj.
Con un quadro istituzionale disgregato, un’iperinflazione ormai impossibile da quantificare e proventi petroliferi in caduta libera, Caracas pasa hambre, Caracas patisce la fame, e veleggia sull’orlo del default. Due tranche di debito in scadenza nel 2019 e una terza nel 2020, i soliti riflettori puntati delle agenzie di rating e di gran parte dell’establishment internazionale. Eppure sono pochi a scommettere su un’imminente caduta del governo in carica a Palacio Miraflores. Vero. I ricavi petroliferi si assottigliano e la crisi alimentare picchia duro. E non solo: l’elenco dei nemici è lungo. Il fattore “amici” pesa molto, soprattutto se hanno un rilevante peso specifico politico.
L’esercito e gli amici
I militari della Forza armata nazionale bolivariana (Fanb) costituiscono il vero ago della bilancia, coloro che garantiscono la sopravvivenza fisica e politica del presidente. E infatti la loro influenza nella sfera della gestione energetica è tutt’altro che marginale. L’accordo “oil for cash” siglato tra Venezuela e Russia poggia proprio su un’intesa politico militare, ammantata di petrodollari: negli ultimi dieci anni Mosca ha “acquisito” vari giacimenti petroliferi venezuelani oltre a qualcuno di gas naturale. Caracas ha ottenuto – come contropartita - più di un miliardo e mezzo di dollari, ma ha dovuto cedere alla società energetica Rosneft il 49,9% di Citgo, conglomerato energetico che possiede raffinerie, gasdotti e 600 stazioni di servizio negli Stati Uniti. Generando un conflitto istituzionale negli Stati Uniti che si ritrovano, sul proprio territorio, un “socio” del Venezuela tutt’altro che gradito.
Molto interessati al petrolio venezuelano e alla presenza sul continente americano anche i cinesi.
La cerimonia di ieri è stata preceduta da forti polemiche e da accuse di “illegittimità” nei confronti di Maduro che ha sì vinto le elezioni presidenziali del maggio 2018, ma con un risultato contestato sia dall’opposizione che dalla Chiesa venezuelana. Oltre che da buona parte della comunità internazionale. In prima fila gli Stati Uniti ed i Paesi del “Gruppo di Lima” (di cui fanno parte 14 Paesi latinoamericani), a eccezione del Messico, rimasto neutro. Ecco perché, all’insediamento di ieri per il periodo 2019-2025, hanno assistito soltanto quattro capi di Stato di Paesi latinoamericani, Bolivia, Cuba, El Salvador e Nicaragua. Molti Paesi europei hanno inviato diplomatici di rango inferiore.
Il Venezuela in Brasile
Nell’aspra battaglia politica interna la tensione è tale da aver escogitato una soluzione davvero rara. Il Brasile potrebbe diventare la sede di un governo venezuelano «di transizione», parallelo a quello di Nicolas Maduro. Un segnale di ulteriore discredito verso la presidenza, non riconosciuta né dal Parlamento, in mano all’opposizione, né da gran parte della comunità internazionale dell’Occidente.
La soluzione dell’esilio in Brasile è stata scelta dall’opposizione – secondo quanto rivelato dai tg brasiliani – per ostacolare Maduro. E passa attraverso il Tribunale Supremo di Giustizia (Tsj) venezuelano in esilio, che non riconoscerà il nuovo mandato. La Corte, costituita da 33 magistrati, funziona attualmente a Washington, è riconosciuta dall’Organizzazione degli Stati Americani (Osa) e ha la facoltà costituzionale di dichiarare vacante la presidenza del Venezuela.
Il Brasile è membro del Gruppo di Lima che venerdì scorso ha chiesto a Maduro di desistere dall’insediarsi per il suo secondo mandato, dato che «considera irregolari le elezioni presidenziali in Venezuela dello scorso maggio». Molto netta anche la posizione della Ue, che non ha partecipato alla cerimonia di ieri: «Siamo stati molto chiari sul fatto che le elezioni in Venezuela non sono state libere e giuste e ci dispiace che il voto non si sia svolto, come richiesto dalla comunità internazionale». Sono molti i supporter dell’ex presidente Hugo Chavez, ora passati all’opposizione, capaci di argomentare come il progetto bolivariano sia stato tradito e distorto.
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