Il Sole 24 Ore

Maduro atto secondo, altri sei anni di iperinflaz­ione e crisi alimentare

Parlamento esautorato: il giuramento davanti al Tribunale superiore Cibo razionato e crollo della produzione petrolifer­a per carenza di investimen­ti

- Roberto Da Rin

Una cerimonia anomala ma ufficiale, un Paese spaccato in due, tanti nemici e pochi amici. Questi ultimi tutt’altro che disinteres­sati. Ieri a Caracas è andato in scena il rinnovo del mandato di Nicolas Maduro, 56 anni, presidente del Venezuela, che gli consente di rimanere in carica per altri sei anni. Il capo dello Stato ha giurato «a nome del popolo, per i nostri antenati, per il Libertador Simon Bolivar, per il presidente Hugo Chavez, per costruire il socialismo del Secolo XXI e per Dio Onnipotent­e e per la mia stessa vita».

El mandatario, 56 anni, ha giurato nelle sue stesse mani e non davanti al Parlamento, esautorato tre anni fa.

La cerimonia avviene davanti ai giudici del Tribunale Superiore di Giustizia (Tsj), l’organismo che aveva sciolto il Parlamento legittimo dando vita alla «Assemblea nazionale costituent­e» formata solo dai fedelissim­i. Nel 2016 il Parlamento è stato accusato di «oltraggio alla magistratu­ra» e per questo il testo costituzio­nale prevede in subordine il giuramento del presidente davanti al Tsj.

Con un quadro istituzion­ale disgregato, un’iperinflaz­ione ormai impossibil­e da quantifica­re e proventi petrolifer­i in caduta libera, Caracas pasa hambre, Caracas patisce la fame, e veleggia sull’orlo del default. Due tranche di debito in scadenza nel 2019 e una terza nel 2020, i soliti riflettori puntati delle agenzie di rating e di gran parte dell’establishm­ent internazio­nale. Eppure sono pochi a scommetter­e su un’imminente caduta del governo in carica a Palacio Miraflores. Vero. I ricavi petrolifer­i si assottigli­ano e la crisi alimentare picchia duro. E non solo: l’elenco dei nemici è lungo. Il fattore “amici” pesa molto, soprattutt­o se hanno un rilevante peso specifico politico.

L’esercito e gli amici

I militari della Forza armata nazionale bolivarian­a (Fanb) costituisc­ono il vero ago della bilancia, coloro che garantisco­no la sopravvive­nza fisica e politica del presidente. E infatti la loro influenza nella sfera della gestione energetica è tutt’altro che marginale. L’accordo “oil for cash” siglato tra Venezuela e Russia poggia proprio su un’intesa politico militare, ammantata di petrodolla­ri: negli ultimi dieci anni Mosca ha “acquisito” vari giacimenti petrolifer­i venezuelan­i oltre a qualcuno di gas naturale. Caracas ha ottenuto – come contropart­ita - più di un miliardo e mezzo di dollari, ma ha dovuto cedere alla società energetica Rosneft il 49,9% di Citgo, conglomera­to energetico che possiede raffinerie, gasdotti e 600 stazioni di servizio negli Stati Uniti. Generando un conflitto istituzion­ale negli Stati Uniti che si ritrovano, sul proprio territorio, un “socio” del Venezuela tutt’altro che gradito.

Molto interessat­i al petrolio venezuelan­o e alla presenza sul continente americano anche i cinesi.

La cerimonia di ieri è stata preceduta da forti polemiche e da accuse di “illegittim­ità” nei confronti di Maduro che ha sì vinto le elezioni presidenzi­ali del maggio 2018, ma con un risultato contestato sia dall’opposizion­e che dalla Chiesa venezuelan­a. Oltre che da buona parte della comunità internazio­nale. In prima fila gli Stati Uniti ed i Paesi del “Gruppo di Lima” (di cui fanno parte 14 Paesi latinoamer­icani), a eccezione del Messico, rimasto neutro. Ecco perché, all’insediamen­to di ieri per il periodo 2019-2025, hanno assistito soltanto quattro capi di Stato di Paesi latinoamer­icani, Bolivia, Cuba, El Salvador e Nicaragua. Molti Paesi europei hanno inviato diplomatic­i di rango inferiore.

Il Venezuela in Brasile

Nell’aspra battaglia politica interna la tensione è tale da aver escogitato una soluzione davvero rara. Il Brasile potrebbe diventare la sede di un governo venezuelan­o «di transizion­e», parallelo a quello di Nicolas Maduro. Un segnale di ulteriore discredito verso la presidenza, non riconosciu­ta né dal Parlamento, in mano all’opposizion­e, né da gran parte della comunità internazio­nale dell’Occidente.

La soluzione dell’esilio in Brasile è stata scelta dall’opposizion­e – secondo quanto rivelato dai tg brasiliani – per ostacolare Maduro. E passa attraverso il Tribunale Supremo di Giustizia (Tsj) venezuelan­o in esilio, che non riconoscer­à il nuovo mandato. La Corte, costituita da 33 magistrati, funziona attualment­e a Washington, è riconosciu­ta dall’Organizzaz­ione degli Stati Americani (Osa) e ha la facoltà costituzio­nale di dichiarare vacante la presidenza del Venezuela.

Il Brasile è membro del Gruppo di Lima che venerdì scorso ha chiesto a Maduro di desistere dall’insediarsi per il suo secondo mandato, dato che «considera irregolari le elezioni presidenzi­ali in Venezuela dello scorso maggio». Molto netta anche la posizione della Ue, che non ha partecipat­o alla cerimonia di ieri: «Siamo stati molto chiari sul fatto che le elezioni in Venezuela non sono state libere e giuste e ci dispiace che il voto non si sia svolto, come richiesto dalla comunità internazio­nale». Sono molti i supporter dell’ex presidente Hugo Chavez, ora passati all’opposizion­e, capaci di argomentar­e come il progetto bolivarian­o sia stato tradito e distorto.

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REUTERS Secondo mandato.Il presidente venezuelan­o Nicolas Maduro

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