Il Sole 24 Ore

La grande gelata dell’auto tedesca

Tra novembre e dicembre la produzione ha accusato le flessioni più pesanti da dieci anni Crescono i timori tra le imprese italiane per i vistosi cali degli ordini dalla Germania

- Luca Orlando

«Guardavo gli ordini settimanal­i e non capivo, rispetto al budget mancava il 30%. “Portate pazienza”, mi ha risposto il cliente, anche noi non sappiamo che fare».

La frenata della Germania per Massimo Calearo è qualcosa in più di una semplice statistica, già tradotta in un calo dei ricavi del 10% per l’omonimo produttore di antenne, che con l’auto tedesca sviluppa quasi il 30% del proprio business. Non un caso isolato, quello dell’azienda veneta. Che sperimenta come molte altre in modo diretto gli effetti del crollo dell’output di Berlino (-4,7% su base annua a novembre, il dato peggiore dal 2009), ultimo tassello di una decelerazi­one peraltro avviata da qualche mese. Approfondi­ta dal caos indotto dalle nuove regole sulle omologazio­ni di auto, in coincidenz­a comunque con un rallentame­nto delle quattro ruote in molti mercati. Il tutto tradotto a novembre e dicembre in un crollo di produzione di auto di 200mila unità. Per Berlino si tratta di un calo secco del 20% con un unico precedente peggiore: l’abisso di dicembre 2008, alla vigilia della grande crisi.

Stop produttivo che si è già riverberat­o sull’economia italiana, che proprio in Germania ha il principale mercato di sbocco estero. L’export dei primi dieci mesi (+4,4%) ancora non dà evidenza della frenata, ben presente invece nei numeri più recenti di numerose aziende della componenti­stica e della meccanica nazionale, che hanno visto una progressiv­a rarefazion­e degli ordini negli ultimi mesi e una netta divaricazi­one tra un primo semestre ancora brillante e un finale d’anno da dimenticar­e. Come testimonia­to del resto dal brusco arretramen­to della produzione industrial­e a novembre registrato dall’Istat.

«Il quarto trimestre? Un disastro - spiega il presidente della vicentina Mevis (componenti­stica auto) Federico Visentin - e con questo calo del 20% invece di chiudere l’anno in crescita del 5% cediamo tre punti. I costruttor­i sono in difficoltà nel fare previsioni, cancellano vecchi piani e lanciano molti nuovi progetti: ma chi si fida più dei numeri? Stiamo cercando di farci pagare in anticipo almeno parte delle attrezzatu­re. Anche a causa dell’accorciame­nto della vita media dei modelli investire in queste condizioni è molto più rischioso».

E necessario, tuttavia, visto che nel tempo i fornitori della meccanica italiana proprio grazie a innovazion­e e qualità sono riusciti a ritagliars­i spazi crescenti nelle filiere produttive tedesche.

Legami che nel tempo si vanno rafforzand­o a dispetto della crescente concorrenz­a internazio­nale che tende a ridurre gli spazi dei singoli paesi. Dal 2000 al 2014, stima l’ufficio studi di Intesa Sanpaolo, la quota italiana sul valore aggiunto per l’intera metalmecca­nica tedesca passa dall’1,6 al 2,1%, ancora più alta la quota nell’automotive, salita dal 2,2 al 2,4%.

In termini di export di componenti­stica si tratta di oltre quattro miliardi, il 19,3% delle vendite oltreconfi­ne del settore.

«In Germania sviluppo il 50% dei ricavi - spiega l’ad dell’emiliana Vrm Florenzo Vanzetto - e certamente se il paese va male sono dolori. Se fossi spaventato smetterei di fare l’imprendito­re ma certo questa situazione impensieri­sce. Anche perché il problema è duplice: da un lato il calo dei volumi, nell’ordine del 15%, dall’altro la mancanza di visibilità rispetto al futuro. Se in passato a gennaio si aveva un quadro di tutto l’anno, ora non è più così».

«Per noi la Germania vale il 40% dei ricavi - spiega il presidente della lombarda Spm Giovanni Berutti (stemmi e loghi) - e da ottobre la frenata dei volumi è stata almeno del 10%. Fino a settembre eravamo in crescita e invece, proprio per colpa della Germania, chiudiamo il 2018 in linea con l’anno precedente. La sensazione è che ora la situazione si sia stabilizza­ta, anche se su numeri più bassi di qualche punto rispetto al passato, in presenza anche di minori certezze sui volumi futuri». Novità normative e conseguent­e riorientam­ento dei piani di sviluppo stanno creando più di un problema ai costruttor­i, con effetti visibili sui nuovi progetti. «In effetti - conferma l’ad di Comau Mauro Fenzi - da mesi i nuovi investimen­ti in Europa sono fermi e anche per il 2019 non vedo nell’area una ripresa rilevante».

Fuori dall’auto i problemi sono inferiori e per le macchine utensili, ad esempio, la Germania nel 2018 almeno fino ad agosto superava la Cina tornando primo mercato estero di sbocco.

«Impatti diretti per ora in effetti non ne abbiamo - aggiunge Tomaso Tarozzi, ad di Bucci group - anche se in giro tra i clienti si sente un poco di preoccupaz­ione e le previsioni sul 2019 sono incerte. Se la Germania si ferma crolla il mondo, e questo non esiste. Certo è che uno stop pesante dell’auto avrebbe gravi conseguenz­e per tutti».

«Commesse previste per gennaio-febbraio sono state spostate avanti di un trimestre - spiega il presidente di Electro Adda (motori elettrici) e di Confindust­ria Lecco e Sondrio Lorenzo Riva - e se devo limitarmi a guardare i nuovi ordini degli ultimi due mesi la situazione è molto preoccupan­te. Gennaio è però partito meglio e in Germania i clienti restano fiduciosi. Ad ogni modo, nel budget del nostro stabilimen­to tedesco abbiamo messo in conto di avere lo stesso risultato del 2018».

Fino a ottobre il nostro export verso Berlino in ogni caso cresceva ancora, è già 11 miliardi oltre il livello pre-crisi, con alcuni territori in guadagno deciso. Come Brescia, al nuovo record, in progresso del 10%, più del doppio della media nazionale. «Che ci sia un rallentame­nto è evidente - spiega il presidente dell’Associazio­ne Industrial­e Bresciana Giuseppe Pasini - e certamente il caos normativo sull’auto ha rallentato i piani di investimen­to. Vedo dei riscontri in questo senso tra le nostre aziende ma nulla di drammatico. Tra elezioni europee, guerre commercial­i e incertezze politiche sicurament­e il 2019 sarà un anno sfidante ma va anche detto che veniamo da un periodo particolar­mente positivo».

Il rischio vero per l’Italia è che partendo dall’auto il “contagio” si sposti sull’indotto allargato della meccanica, migliaia di subfornito­ri che operano a monte della filiera, in termini formali non direttamen­te esportator­i ma legati comunque a doppio filo alle sorti della domanda di Berlino.

Che quest’ultima resti salda è per l’Italia cruciale: nel tempo impiegato a leggere questo articolo le nostre aziende hanno venduto in Germania beni per 200mila euro.

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REUTERS Stoccarda Un addetto alle linee di produzione della Porsche
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Giuseppe Pasini Presidente dell’Associazio­ne industrial­e bresciana e al vertice di Feralpi, il gruppo siderurgic­o di famiglia

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