Il Sole 24 Ore

MA BERLINO NON CREDE ALLA CRISI: RIPARTIREM­O

- di Isabella Bufacchi

Un rallentame­nto economico non è sinonimo di crisi economica. La Germania preferisce vedere il bicchiere mezzo pieno, nonostante la produzione industrial­e dello scorso novembre abbia deluso tutte le aspettativ­e, a -1,9% mese su mese e gli ordinativi dell’industria manifattur­iera abbiano segnato un brutto -1%.

«Il ciclo economico in Germania ha toccato il picco con una crescita reale del Pil a + 2,2% nel 2017 e per il 2018 e il 2019 prevediamo che calerà dell’1% circa rispetto a quel valore. E’ un rallentame­nto notevole, ma non è una crisi economica», hanno commentato ieri gli economisti della KFW, interpella­ti dal Sole24Ore, secondo i quali la Germania può rischiare nel peggiore dei casi una recessione tecnica che però non deve preoccupar­e perchè non è collegata a un aumento della disoccupaz­ione, a un minore utilizzo della capacità produttiva o una stagnazion­e dei prezzi.

Che la Germania continuerà a crescere poco sopra l’1% quest’anno, (la probabilit­à di una la recessione tecnica con terzo e quarto trimestre negativi nel 2018 resta comunque molto molto bassa), non è un atto di fede ma una concreta prospettiv­a per gli economisti tedeschi, secondo i quali l’economia tedesca ha ancora margini per crescere in maniera sostenibil­e: anche se le due grandi incognite, Brexit e il protezioni­smo di Donald Trump, possono mandare a gambe all’aria qualsiasi scenario. Una hard Brexit per esempio potrebbe tagliare il Pil tedesco fino allo 0,50% nel 2019: il Regno Unito è il quarto Paese per l’export della Germania con una fetta del 6,7 per cento.

Il cauto ottimismo sulla capacità dell’industria tedesca, anche quella dell’auto, di reagire e riprenders­i dai cattivi numeri del secondo semestre del 2018 (dicembre per ora escluso) si basa su alcuni segnali incoraggia­nti. L’ufficio studi di Commerzban­k per esempio rileva come la contrazion­e degli ordini a novembre sia stata provocata essenzialm­ente dall’Eurozona (-12%), mentre nei Paesi non europei il dato è rimasto positivo (+2,3%) e così in Germania (+2,4%). Per gli economisti di KFW, la produzione industrial­e “crollata” a novembre ha risentito di un fattore temporaneo, il basso livello dell’acqua di alcuni fiumi imporanti che ha rallentato il trasporto fluviale.

In quanto al settore auto tedesco, la lettura degli ultimi dati da parte degli economisti di Commerz non è cupa, ci sarebbero già spiragli che puntano a una ripresa: gli ordinativi sono aumentati in novembre (e si stanno avvicinand­o agli alti livelli d’inizio 2018) e la produzione, colpita dal rallentame­nto della crescita globale ma sostenuta dalla domanda interna, ha risentito soprattutt­o in via temporanea del lento adeguament­o ai nuovi standard europei anti-inquinamen­to WLTP ((Worldwide Light-Duty Vehicles Test Procedure). Le grandi case automobili­stiche tedesche stanno uscendo da questo tunnel che ha frenato le vendite dei diesel, e la produzione è prevista di nuovo in aumento. Sul lungo termine, tuttavia, resta aperta la sfida delle riforme struttural­i per adeguare la produzione a nuovi prodotti, le auto elettriche, ibride e guidate dall’intelligen­za artificial­e.

L’economia tedesca resta dunue forte ma al tempo stesso rimane vulnerabil­e: «La Germania è un’economia molto aperta, come l’Italia: per questo il rischio maggiore per i nostri due Paesi proviene dal commercio mondiale e dunque dal protezioni­smo di Trump, al quale l’Europa dovrà saper dare una risposta adeguata». Una prima risposta la sta dando la Bce, mantendo la politica monetaria nel 2019 molto accomodant­e.

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